la mano invisibile

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la mano invisibile ● La Mano Invisible

un film di David Macián
con Anahí Beholi, Josean Bengoetxea, Eduardo Ferrés,
Elisabet Gelabert, Christen Joulin
sceneggiatura: Daniel Cortázar, David Macián ● fotografia: Fernando Fernández
montaggio: Daniel Cortazar
produzione: David Macián
distribuzione: Exit Media
Spagna, 2016 ● 80 minuti

v.o. spagnolo con sottotitoli in italiano

proiettato anche al Parlamento Europeo, oltre che in festival importanti come quello di San Sebastiàn, La Mano Invisible è l’esordio potente di David Maciàn, videoartista e attivista che confeziona un piccolo doloroso gioiello per riflettere sull’assurdità del precariato e dell’umiliante stato di desolazione cui è ridotto il nercato del lavoro.

a breve una serata con ospiti dopo il film

In un capannone industriale, 11 persone vengono contrattate per fare il proprio lavoro davanti a un pubblico che non vedono. Sono un muratore, un macellaio, una sarta, un cameriere, un meccanico, un informatico, una donna delle pulizie… Opera d’arte, reality show, macabro esperimento? I partecipanti non sanno cos’hanno di fronte, né di chi sia la mano che muove i fili di questo perverso teatrino, mordente parabola sulla precarietà del lavoro, di bruciante attualità.

«Ho trovato il libro de ‘La Mano Invisble’ in un momento in cui mi occupavo d’altro, l’ho letto, e mi ha colpito in quanto rispecchiava esattamente quello che volevo raccontare in un film. Ed il libro – che conta circa 400 pagine – è molto diverso dal film; è prettamente saggistisco, non ha una narrazione vera e propria, tanto da fissarsi anche per più di 20 pagine raccontando di come il muratore crei e distrugga il suo muro; io, invece, ho voluto trovare una linea drammatica che ho poi sviluppato nel film. (…) I lavori mostrati nel film perdono di dignità, risultano completamente improduttivi; in qualche maniera riflettono la reale sovrapproduzione e al tempo stesso c’è un modo di lavorare che non ti fa capire perchè tu lo stia facendo; il ruolo dello sguardo è misurato in forma di show, in qualche modo il pubblico viene messo davanti ad una sorta di circo e diventa più selvaggio man mano che i “lavoratori” smettono di fare ciò che stanno facendo. (…) La mano invisible del titolo, lo avrete capito, si rifà in parte alla famosa metafora di Adam Smith, ma c’è sicuramente una seconda lettura, nel libro come nel film, secondo cui siamo davanti a dei lavoratori invisibili che hanno perso la loro coscienza di classe, la loro dignità.» (David Macián)

«Presentato all’ultimo Festival del Cinema Europeo di Siviglia a novembre 2016, mostrato al festival di Tarragona REC, dove ha ricevuto il premio della giuria e del pubblico giovane, a breve La mano invisible sarà a Strasburgo al Parlamento Europeo per la tematica importante che affronta, il lavoro. L’origine è letteraria, un romanzo/saggio pubblicato nel 2011 da Isaac Rosa, sevillano, scrittore, giornalista, classe 1974, sette romanzi in quota. David Macián, fino a ieri giovane precario tuttofare, presente alla prima trevigiana, racconta di aver trovato il libro nella libreria in cui, appunto, faceva di tutto ed è diventato così un giovane regista alla sua opera prima. Da un romanzo di 400 pagine al film di 90 minuti il passo non è breve. Serve una capacità non comune per trasformare in “fabbrica delle immagini” ciò che nasce come “ storia scritta”. (…) Maciàn sa come farlo, e forse sulla sua strada anche Lars von Trier di Dogville ha lasciato il segno. Con La mano invisible il pubblico, invisibile ma presente al punto da sentirne quasi il fiato, entra addirittura in scena nel pre-finale in un pandemonio scatenato dalla tensione crescente che ha alimentato il film fin dalla prima sequenza. E’ la katastrofè, quella a cui l’atto del vedere che sta alla base della liturgia teatrale tende inesorabile. A quel punto avviene l’acquisizione totale di senso, viene posto il sigillo e l’autore si ritira lasciando il suo pubblico a meditare. (…) Maciàn fa un film di grande lucidità nel cogliere lo spirito dei tempi ribaltandolo in allegoria cinematografica su un set. La mediazione arte/vita è in ottimo equilibrio, si respira l’aria del reality show (…). Gli istinti repressi da secoli di dura lotta di grandi e piccoli uomini contro la barbarie tornano prepotentemente in superficie, razzismo, machismo, schiavismo, individualismo sfrenato, nulla manca, il contratto sociale è solo carta straccia. Ma il “meraviglioso” spettacolo del lavoro deve continuare.» (Yume, filmtv.it)