1945
un film di Ferenc Török
con Péter Rudolf, Bence Tasnádi, Tamás Szabó Kimmel, Dóra Sztarenki, Eszter Nagy-Kalozy
sceneggiatura: Gábor T. Szántó, Ferenc Török ● fotografia: Elemér Ragályi
montaggio: Béla Barsi ● musiche: Tibor Szemzö
produzione: Katapult Film
distribuzione: Mariposa Cinematografica e barz and hippo
Ungheria, 2017 ● 90 minuti
v.o. ungherese, russo sottotitolata in italiano e in inglese
Berlino IFF 2017: in concorso Panorama ● Jerusalem IFF 2017: Premio Avner Shalev Yad Vashem
Berlin Jewish FF: Miglior regia ● Freistadt Der neue Heimatfilm 2017 : Miglior Film
San Francisco Jewish FF 2017: Premio della Critica e Premio del Pubblico
Titanic IFF Budapest 2017: Premio del Pubblico ● Miami Jewish FF 2017: Miglior soggetto
un film distribuito con il patrocinio di: Consolato Generale d’Ungheria in Milano
nella settimana del BookPride lo sceneggiatore Gábor Szántó è a Milano per presentare lo straordinario film di Ferenc Török e il libro appena pubblicato che contiene l’omonimo racconto.
l’Olocausto senza l’Olocausto. non la deportazione, ma il ritorno dei sopravvissuti: un fulmine a ciel sereno, reazioni a catena, verità nascoste che vengono a galla. un film girato in uno splendido bianco e nero, che tratta un tema drammatico con serietà, ma anche con la leggerezza di un film di genere, tra western e thriller, con un’ironia e una malinconia graffianti e universali.
In un afoso giorno di agosto del 1945, mentre gli abitanti di un villaggio ungherese si preparano per il matrimonio del figlio del vicario, un treno lascia alla stazione due ebrei ortodossi, uno giovane e l’altro più anziano. Sotto lo sguardo vigile delle truppe occupazioniste sovietiche i due scaricano dal convoglio due casse misteriose e si avviano lentamente verso il paese. Il precario equilibrio che la guerra ha lasciato sembra ora minacciato dall’arrivo dei due ebrei. In tutta la comunità si diffondono rapidamente la paura e il sospetto che i tradimenti, le omissioni e i furti, commessi e sepolti durante gli anni di conflitto, possano tornare a galla.
«Si tratta di un tragico periodo storico in cui tutti sono collegati in un modo o nell’altro. Tuttavia non ero guidato da una storia personale di famiglia; qui è tutta finzione, a differenza dei miei film precedenti. Direi piuttosto che il mio legame con la storia sta nel fatto che ne sono stato catturato. Il racconto di Szántó coglie una prospettiva della situazione storica completamente diversa rispetto a qualsiasi altra cosa che abbia mai letto prima. Penso al tema del nuovo inizio e a come la società deve superare il trauma, iniziare un nuovo viaggio, affrontare il passato e intraprendere una nuova vita.» (Ferenc Török)
«1945 è un’opera asciutta, essenziale, potente e profondamente incisiva che, senza mezzi termini, indaga su una delle verità più scomode del periodo di occupazione nazista in suolo ungherese (…). Con eccezionale talento, il duo Török- T. Szántó riassume infatti in 90 minuti il clima di turbolenza morale a cui andarono incontro tutti quegli individui che, consapevolmente o meno, sfruttarono quella tragica situazione per impossessarsi degli averi dei loro ‘sfortunati’ vicini di casa. In un crescendo di tensione scandito dalla lenta, dignitosa e inesorabile marcia d’avvicinamento dei due forestieri (…), lo spettatore assisterà ai numerosi e diversi punti di vista di ogni personaggio (…). Girato in un bellissimo bianco e nero ad alto contrasto, il lungometraggio di Török è tanto una parabola sulla fragilità di una società costruita sulle rovine morali dell’evento storico più devastante del XX secolo, quanto un lucido sguardo critico che il cineasta rivolge al suo Paese e, per estensione, all’Europa.
Assistendo a 1945 è infatti impossibile non pensare all’odierno nazionalismo imperante in Ungheria e alla diffusa paura per lo ‘straniero’, che non soltanto arriva nel Vecchio Continente a bordo di malandati barconi dell’orrore, ma può giungere anche con il treno, proprio come i protagonisti del film. Ecco, allora, che tutto nell’opera di Török acquista un senso in chiave contemporanea.» (Silvia Fabbri, Movietrainer.com)
«Lo spettatore, abituato a una lunga tradizione cinematografica di denuncia dello sterminio nazista, non troverà in 1945 alcuna immagine esplicita. L’assassinio sistematico che ha portato alla morte di sei milioni di cittadini europei di origine ebraica è, nel film, una presenza sottile che si insinua gradualmente nei dialoghi e nel malessere serpeggiante che contagia, minuto dopo minuto, tutti i personaggi che intervengono nella storia. (…)
La fotografia di Elemér Ragályi regala al film una veste raffinata e glaciale, dove il bianco e il nero sono definiti con una decisione che lascia poco spazio alle sfumature. Nelle inquadrature, sempre ben studiate, il regista e il suo entourage non perdono mai il controllo della narrazione che procede scandita sulle lancette dell’orologio. Come in una tragedia greca, si conserva l’unità di azione, tempo e luogo lasciando che sia il coro a raccontare tutto ciò che è avvenuto prima dei titoli di testa.
1945 fa parte di un cinema che non racconta, ma mostra gli effetti di una catastrofe e i segni che lascia sui superstiti. Gli autori Ferenc Török e Gábor T. Szántó si dedicano a uno spaccato di microstoria attraverso cui costruire un’attuale coscienza politica e lanciano un appello alla presa collettiva di posizione e all’assunzione di responsabilità come patrimonio individuale di ogni cittadino. L’indifferenza è sempre dietro l’angolo, ma film come 1945 sono secchiate d’acqua gelida per chi crede che basti coltivare il proprio orticello per potersi dire brave persone.» (Francesca Torre. Cinematographe.it)
«Una parabola sottile e sobria sulla colpa e sulla natura e le conseguenze del male. Le domande su cosa possa essere accaduto durante la guerra, cosa sia stato fatto per far sentire tutti così, sono abilmente sollevate e gradualmente ricevono una risposta. Uno dei fattori che rende “1945” un film particolarmente significativo è che l’arrivo degli ebrei è così inquietante da provocare conflitti, tensioni e animosità che poco hanno a che fare con i due stranieri o con ciò che è accaduto durante la guerra appena conclusa. Semplice, potente, credibile e competente, “1945” procede inesorabilmente come Sámuel e suo figlio nella loro lunga camminata verso il villaggio. È il messaggero potente di un tempo andato ma i cui problemi e le cui difficoltà non sono affatto vicini dall’essere superati.» (Kenneth Turan, Los Angeles Times)