sulle sue spalle

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SULLE SUE SPALLE ● On Her Shoulders

un film di Alexandria Bombach
con Nadia Murad, Ismael Murad, Amal Clooney, Ban Ki-moon
soggetto e sceneggiatura: Hishyar Abid, Nawaf Ashur, Deniz Ekici, Yousif Haskan,
Shahnaz Osso ● fotografia: Alexandria Bombach ● montaggio: Alexandria Bombach
musiche: Patrick Jonsson
produzione: Ryot Films
distribuzione: I Wonder Pictures
Stati Uniti, 2018 ● 95 minuti

v.o. in inglese e arabo sottotitolata in italiano

Hamburg FF: political film award ● Camden IFF: Miglior Documentario
Dokufest IFF: Human Rights Award ● Biografilm Festival: in concorso

venerdì 21 dicembre proiezione speciale in collaborazione con Non Una Di Meno – Milano
dalle 20.30 aperitivo e banchetto al #barBrillo
scrivi a prenota@cinemabeltrade.net

Nadia Murad, premio Nobel per la pace nel 2018, è una testimone di raro coraggio che dedica tutto il suo tempo a prevenire i drammi occorsi a lei e al suo popolo.

Alexandria Bombach ce la fa conoscere senza agiografia, nella sua verità di donna e di combattente per la pace

Nadia Murad, Premio Nobel 2018 per la Pace, è una sopravvissuta: aveva appena 20 anni la notte del 3 agosto 2014, quando l’Isis attaccò Sinjar, la sua città natale, e sterminò la sua famiglia insieme a gran parte della popolazione di fede Yazidi. Lei fu catturata, subì ogni genere di violenza e solo per una coincidenza riuscì a mettersi in salvo. Ora Nadia è diventata il volto di un popolo dimenticato e, giorno dopo giorno, combatte una battaglia difficile e dolorosa, quella per la memoria. Dai campi di profughi in Grecia ai raduni di sopravvissuti a Berlino, dal Parlamento canadese alla sede della Nazioni Unite, questa ragazza giovanissima continua a raccontare la sua storia e trova il coraggio di ripercorrere ancora una volta quei momenti terribili, riaprendo ferite recenti. Perché quanto è accaduto e sta tuttora accadendo non passi sotto silenzio. Perché la sua voce diventi il grido di speranza di un intero popolo.

«Non penso che esista l’obiettività nei documentari. Voglio che gli spettatori in primo luogo si chiedano perché loro stessi vogliono sapere queste cose. Quanto ti importa di quello che hanno subito Nadia e migliaia di altre donne? Farai qualcosa se saprai quante volte Nadia è stata violentata, per quanto tempo è stata prigioniera o in che modo è fuggita? Questo film mi ha fatto mettere in discussione tutto ciò che facciamo come narratori, così come l’attuale panorama del giornalismo e del cinema documentario, e come confezioniamo storie di traumi per un mondo che le dimenticherà facilmente, indipendentemente da quanti dettagli siano forniti. Qual è la nostra responsabilità nei confronti dei sopravvissuti? È stato difficile essere testimoni e confrontarsi con queste cose, ma non è stato difficile fare la scelta di non porre a Nadia quelle domande in questo film.» (Alexandria Bombach)

«È nello scorrere dei giorni e degli incontri che emerge il ritratto ‘vero’ di una vittima di atrocità indicibili che non ‘fa’ (come invece sarebbe assolutamente legittimata a fare) la vittima ma lotta affinché il suo popolo venga sottratto alle persecuzioni. Si vede chiaramente come per lei ogni discorso da tenere in pubblico rappresenti una forzatura su se stessa e come, al contempo, questa venga sentita come un ostacolo da superare per una finalità superiore. La si percepisce come veramente a proprio agio solo quando incontra persone appartenenti al suo popolo con le quali si sente svincolata da ogni forma di auto controllo e può anche permettersi di piangere. La regista sa però anche cogliere, da appartenente allo stesso sesso, gesti di una femminilità che gli orrori subiti dai carnefici dell’ISIS non sono riusciti a conculcare. Nadia che si pettina i capelli, compiendo un gesto quotidiano per tutte le donne, ci dice di sé e delle persone a cui sta dedicando questa fase della sua vita molto di più di un’analisi storico sociale. Il cinema, quello vero, è anche questo: cogliere in un gesto apparentemente banale un senso altro e profondo.» (Giancarlo Zappoli, mymovies.it)