Un altro me

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Un altro me

un film di Claudio Casazza
con Paolo Giulini, Francesca Garbarino, Andrea Scotti, Maritsa Cantaluppi, Luca Bollati
sceneggiatura: Claudio Casazza ● fotografia: Claudio Casazza
montaggio: Luca Mandrile ● assistente al montaggio: Marco Noris
produzione: GraffitiDoc ● distribuzione: Lab80 film
Italia, 2016, 84 minuti.

v.o. in italiano

Festival dei Popoli 2016, Concorso internazionale, Premio “MyMovies dalla parte del pubblico”
Il mese del documentario 2016, premio del pubblico

sarà presente in sala l’autore Claudio Casazza

esiste una soluzione per diminuire i casi di violenza sulle donne? e se per un vero cambiamento culturale dovessimo partire dai “mostri” che non vorremmo mai incontrare?

il film, inoltrandosi nel percorso di cura di questi uomini, scopre le premesse profonde che ne hanno mosso le azioni, la narrazione interna che li ha sostenuti e giustificati, gli alibi culturali che hanno permesso loro di esercitare la violenza.

Nel carcere di Bollate c’è un reparto dedicato ai cosiddetti “sex offenders”. Rei d’aver commesso reati sessuali, Sergio, Gianni, Giuseppe, Valentino ed Enrique sono i protagonisti di un percorso sperimentale in cui criminologi e terapeuti vestono i panni terreni di un Virgilio dantesco, nel tentativo di sottrarre gli uomini dall’inferno delle pulsioni incontrollate.
Accompagnati da psicologi che cercano di dar loro una nuova consapevolezza, la presa d’atto dei pazienti avviene attraverso una sorta di confronto caratterizzato da una spiazzante lucidità, difficile da catalogare in quanto conclusione “legittima” di un pensiero estraneo alla percezione del dolore e dell’orrore causati.

«Partivo da una costrizione, dall’obbligo di non inquadrarli, quindi mi sono interrogato su come procedere. Mi piace credere che quando si hanno dei limiti si può essere più creativi. Ho visto alcuni lavori di altri registi che hanno fatto film con dei limiti di questo tipo, ad esempio Avi Mograbi nel suo “Z32”, in cui racconta storie di violenza di soldati israeliani su cittadini palestinesi, aveva ripreso i volti e poi era intervenuto digitalmente in vari modi, con la sfocatura e gli occhi a fuoco, il bollino nero e la sfocatura totale. Volendo intervenire in postproduzione quindi i metodi erano svariati, ma ho preferito fare diversamente, sono partito da una questione etica nei confronti dei detenuti e ho preferito palesare fin da subito il modo in cui li avrei inquadrati. Molto spesso mi chiedevano di rivedere il girato, soprattutto all’inizio delle riprese, e mostrare loro un’immagine a fuoco probabilmente avrebbe rotto quel tipo di relazione che si era instaurato.» (Claudio Casazza)

«Un lungo viaggio nel travagliato mondo dei carnefici, dove le vittime sono evocazione di una sopraffazione crudele, vissuta come per istinto e avvicinata dal regista grazie a uno shopenhaueriano velo di maya giocato sul fuori fuoco. Una sorta di spazio altro in cui sia spettatori che detenuti sono tutelati dalla scelta nitida di scorgere il racconto senza affrontarne lo sguardo. Casazza abita i luoghi con la pazienza di colui che non contrappone forzosamente il dolore dei sentimenti alla segregazione. Non c’è mediazione da parte sua, piuttosto una presa d’atto in profondità, affidata a una forma spogliata da ogni sorta di poetica autoriale, che si avvicina per questo alla contraddizione che incarnano gli uomini, tra assunzione di colpa e sradicamento di un’idea legittimante.» (Olivia Fanfani, mymovies.it)