virgin mountain

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Virgin Mountain

un film di Dagur Kári
con Gunnar Jonsson, Ilmur Kristjánsdóttir, Sigurjón Kjartansson, Franziska Una Dagsdóttir
sceneggiatura: Dagur Kári ● Fotografia: Rasmus Videbæk ● Montaggio: Olivier Bugge Coutté,
Andri Steinn, Dagur Kári ● Musica: Orri Jonsson, Dagur Kári
produzione: RVK Studios, Nimbus Film ApS
distribuzione: Movies Inspired
Islanda, 2015 ● 94 minuti

v.o. islandese sottotitolata in italiano

Tribeca FF 2015, Miglior film narrativo, Miglior Attore, Miglior sceneggiatura ● Cairo IFF,
Piramide d’argento al Miglior regista ● CPH PIX, Premio del pubblico ● FEMF  2015, Miglior Film
Marrakech IFF 2015, Miglior Attore

L’Islanda sta producendo ottimi film e con altri paesei nordeuropei sforna sempre nuovi talenti.
Gunnar Jónsson era anche uno dei due magnifici interpreti di Rams, Storia di due fratelli e otto pecore, mentre Dagur Kàri, omaggiato di una personale al Bergamo Film Meeting 2017, ha diretto vari film pluripremiati tra cui Noi Albinoi. E da poco si è visto al Beltrade Passeri, splendida opera del talentuoso Runar Runarsson.

La montagna vergine del titolo non è un picco inesplorato, ma il corpulento e timido Fusi, un quarantenne che deve trovare ancora il coraggio di entrare nel mondo degli adulti. Fusi vive con la mamma e attraversa la vita quotidiana come un sonnambulo. A spezzare la sua routine fatta di consuetudini rassicuranti è un evento inatteso: per il suo compleanno il compagno della madre gli regala delle lezioni di ballo di gruppo western. Dopo molte resistenze Fusi accetta di andare e, in una sera di tormenta, conosce una coetanea iperattiva. Fusi si ritrova all’improvviso a fare un salto nel buio.

«Il film racconta la storia ispirata di un uomo che compie un passo decisivo per il resto della sua vita. Si tratta di qualcosa in cui tutti possono riconoscersi, almeno spero. Inoltre, penso che tutti qualche volta ci siamo sentiti in colpa per aver giudicato male qualcuno. C’è un seme di cattiva coscienza nella parte cristiana del mondo che ha messo radici in quel sentimento.  (…) con Gunnar Jónsson è stato amore a prima vista. Ho sentito immediatamente che era molto naturale e ho iniziato a desiderare di vederelo recitare in un ruolo drammatico. Così ho scritto il film per lui. Gunnar è il film, non sarebbe stato fatto senza di lui. Il suo talento è enorme e la sua presenza sullo schermo è unica (…) D’ora in poi lo voglio con me in tutti i miei film.» (Dagur Kàri)

«Quarto lungometraggio firmato da Dagur Kári (Nói albínói, Dark Horse, The Good Heart), è un poetico e toccante racconto sulla solitudine, la diversità, l’esclusione, le diverse sfumature di un disagio nell’abitare la propria pelle. In questo film del 2015 – presentato alla 65° Berlinale e poi passato per numerosi festival collezionando premi, fino all’approdo dell’anteprima italiana al Bergamo Film Meeting di quest’anno -, ritroviamo tutte le tematiche care al cineasta islandese: è di nuovo l’emarginazione l’idea cardine attorno cui si sviluppa il movimento narrativo; la figura paterna elemento problematico e inafferrabile, l’amore la promessa (o il miraggio) di salvezza; di nuovo il viaggio, l’allontanamento, come spiraglio per nuove opportunità e speranze, e l’elemento utopistico rappresentato dai posti caldi, incarnato simbolicamente dalle ricorrenti palme esotiche. (…) lo sguardo del regista danza delicatamente attorno al suo personaggio principale, si lascia assorbire e guidare dai suoi movimenti, entro le pieghe di una sensibilità e una fragilità disarmanti. Una fragilità nei confronti del mondo che appare in tutta la sua ingenua sincerità, e che il magnifico interprete Gunnar Jónsson (Rams – Storia di due fratelli e otto pecore) veste con sublime semplicità e tenerezza. È con questo avvicinamento di prospettiva, che Kári sembra raggiungere in questo film denso di agrodolci malinconie una maggiore complessità stilistica: è ancora un occhio pittorico, quello che osserva dietro la telecamera, ma un occhio che predilige stavolta i dettagli, le inquadrature strette, una vicinanza emotiva che negli sguardi e nei silenzi trova la voce di Fúsi. E lo spessore narrativo riesce a toccare tante sfumature tematiche, sfiorandole con la leggerezza di un ritmo che sa essere lieve e disturbante al contempo. Senza affondare troppo, senza perdere di vista il retrogusto umoristico, la dolcezza, il sogno, la poesia.» (Nicoletta Scatolini, sentieriselvaggi.it)

i premi al TRIBECA Film Festival e le motivazioni:

Best Narrative Feature a Dagur Kári: “With its mixture of humor and pathos, this film captured our hearts. Beyond the deceptively small frame of a mismatched love story, the film deals with the issues of bigotry, loneliness, bullying, mental illness, and ultimately the triumph of the human spirit and the meaning of love.”

Best Actor in a Narrative Feature a Gunnar Jónsson: “The film was aided in no small measure by a performer whose mixture of comedy and sadness evokes Chaplin and Keaton, with a complete lack of tricks, pretense, or condescension. This performer relies instead on subtlety, timing, and naked honesty, creating an indelible portrait of a man fighting to be seen in a world that judges him by his appearance.

Best Screenplay for a Narrative Feature a Dagur Kári: “The writer of this film is also the director, and is credited as one of the editors, and also performed the music, and runs the director’s program at the National Film School of Denmark, leading us to wonder when he has time to go to the bathroom. His intricately designed, beautifully observed, and bravely conceived screenplay consistently defies expectations, avoids sentimentality, and never strikes a false note.