L’isola dei cani

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L’isola dei cani
Isle of dogs

un film di Wes Anderson
sceneggiatura: Wes Anderson ● fotografia: Tristan Oliver
montaggio: Edward Bursch, Ralph Foster, Andrew Weisblum ● musiche: Alexandre Desplat
produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions
distribuzione: 20th Century Fox
Stati Uniti, 2018 ● 101 minuti

v. doppiata in italiano

Berlinale 2018: Orso d’argento alla miglior regia ● South by Southwest 2018: premio del pubblico

Wes Anderson aggiunge un altro tassello alla sua filmografia, un nuovo lavoro in stop motion, nove anni dopo Fantastic Mr. Fox. Una favola distopica ambientata in un Giappone futuristico con modelli d’ispirazione pop che vanno dichiaratamente da Kurosawa a Miyazaki, dai manga alle xilografie d’antan mescolati ad altri modelli di riferimento che di orientale hanno poco: da Quarto potere fino a Marlene Dietrich.

Ambientato in Giappone nel 2037, L’isola dei cani racconta la dolce epopea del dodicenne Atari Kobayashi alla ricerca del suo amato cane. Quando a causa di una contagiosa influenza canina, il governo decide di mandare in esilio tutti i cani di Megasaki City in una vasta discarica chiamata Trash Island, Atari parte da solo nel suo Junior-Turbo Prop e vola attraverso il fiume per ritrovare Spots, il suo cane da guardia. Una volta atterrato, con l’aiuto di un branco di nuovi amici, inizia un viaggio epico che deciderà il futuro dell’intera città.

«È senza dubbio una delle sceneggiature più strutturate che ho scritto, eppure all’inizio il nucleo del soggetto era composto da un’idea semplicissima, quella di un branco di cani confinati su un’isola di rifiuti. Era così basilare che all’inizio non sapevo neppure perché volevo realizzarla, eppure ci ho speso anni per fare il film. L’ho sempre concepito come un prodotto di animazione, le idee sono iniziate a moltiplicarsi quando con Jason Schwartzman abbiamo fuso il nucleo principale con l’altra idea di ambientare un film in Giappone. La storia ha letteralmente preso il volo. Mi sono ovviamente lasciato ispirare dal cinema giapponese, in particolare Hayao Miyazaki e Akira Kurosawa. (…) Ci siamo rifatti ai capolavori di Miyazaki, soprattutto al modo poetico in cui usa i silenzi nei suoi film. Ovviamente ci sono anche musiche, ma mi hanno colpito particolarmente i momenti di magnifica tranquillità. Il film che mi ha ispirato particolare è stato Totoro. Per quanto riguarda Kurosawa, alcuni personaggi sono stati ricreati sull’eco di quelli di Toshiro Mifune. E anche i film urbani di Kurosawa mi hanno dato molte idee, anche se ne L’isola dei cani alla fine non si vede. Qualche volta la fonte d’ispirazione ti porta altrove rispetto a quello che pensavi…» (Wes Anderson)

«Non lo sapevamo fino a prima de L’isola dei cani ma quello tra Wes Anderson e il Giappone è il matrimonio perfetto. Lo stile geometrico, rigoroso e sentimentalmente contenuto (che però non significa “freddo”) del regista si accoppia benissimo con la maniera in cui il Giappone è percepito dal resto del mondo, con il suo design minimale, la tendenza a trattenere i sentimenti e a mostrarsi rigorosi, innamorati di regole, tradizioni e rituali. Quello di questo nuovo film animato in stop motion non è propriamente il Giappone di oggi ma una specie di versione kitsch di un possibile futuro retro anni ‘50 (siamo avanti ma tutto appare come quando eravamo indietro). Lì i cani si sono scannati per le poche risorse alimentari e, come in una versione desolata di 1997: fuga da New York, hanno stabilito un loro regno con dinamiche di potere e violenza, tra un ammasso di rifiuti organizzati simmetricamente come solo Wes Anderson potrebbe fare. Epidemia più isolamento desertico più legge della giungla, L’isola dei cani è il primo film distopico di Wes Anderson, quello in cui parlare di un mondo futuro paradossale è un modo di parlare di quello che viviamo oggi.» (Gabriele Niola, Wired.it)