Vittoria e Abdul

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Vittoria e Abdul
Victoria e Abdul

un film di Stephen Frears
con Olivia Williams, Judi Dench, Michael Gambon, Eddie Izzard, Tim Pigott-Smith
Sceneggiatura: Lee Hall
Fotografia: Danny Cohen ● Montaggio: Melanie Oliver ● Musica: Thomas Newman
Produzione: BBC Films, Working Title Films
Distribuzione: Universal Pictures
Stati Uniti, Gran Bretagna, 2017 ●  110 minuti

v. doppiata in italiano

presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia 2017

Colpita dall’aver trovato, nella residenza di Vittoria sull’isola di Wight, un ritratto di Abdul appeso nel suo spogliatoio privato la scrittrice Sharabani Basu ha recuperato i diari di entrambi e portato alla luce una parte di storia della corona che nessuno conosceva o ricordava. Frears la traduce sullo schermo in un intelligente e irriverente film d’epoca. La nostra.

Abdul Karim, umile impiegato indiano, ventenne o poco più, viene scelto per consegnare un omaggio alla regina Vittoria, in occasione del giubileo per i cinquant’anni del regno. Viene scelto esclusivamente in virtù della sua altezza, come a dire per puro caso. Diventerà il servitore, poi il segretario e infine il “Munshi”, il maestro spirituale, della regina e imperatrice. La loro amicizia sarà così salda e intima da infastidire e spaventare la famiglia reale e la corte dei più prossimi al trono, al punto che il figlio, Edoardo VII, darà alla fiamme la loro corrispondenza e ogni testimonianza di quella relazione.

«Sicuramente Vittoria è un personaggio molto più interessante di quello che tramandano i libri di scuola. Era una donna appassionata con un comportamento spesso tutt’altro che regale. Un donna che ha avuto nove figli non perché amasse la maternità ma perché le piaceva il sesso. Nelle lettere che scriveva al suo entourage parlava di contraccezione. Eppure non ricordo di aver letto nulla di simile su di lei nei manuali di storia. Mi piace poter finalmente raccontare la verità» (Stephen Frears)

«Un’amicizia impossibile, una favola di altri tempi, Vittoria e Abdul riscrive l’attualità per dimostrare che lo straniero non è (sempre) una minaccia. Stephen Frears affronta il problema dell’integrazione con la potenza di una storia vera. La finzione cinematografica incontra l’usurato “ispirato a fatti realmente accaduti”, ma il regista cambia subito le carte in tavola e aggiunge un “per lo più”. La verosimiglianza è servita, con alcune licenze poetiche che emozionano fin dalle prime sequenze. L’ironia, inglese e non solo, diverte e aggiunge un pizzico di magia a una narrazione dal sapore orientale. L’Inghilterra colonialista deve piegarsi davanti a un uomo di colore, che si veste in modo bizzarro: un indiano alla corte della regina. Siamo a fine Ottocento, e l’indipendenza dell’India è ancora lontana. Arriverà solo nel 1947. Ad Agra, uno scrivano che tiene i registri dei prigionieri sta per far tremare la Gran Bretagna intera. Si chiama Abdul e, grazie alla sua bella presenza, viene mandato al cospetto della Regina Vittoria per consegnarle una prestigiosa moneta cerimoniale.» (Gian Luca Pisacane, cinematografo.it)