L’albero degli zoccoli

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L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI

un film di Ermanno Olmi
con Carlo Rota, Luigi Ornaghi, Francesca Moriggi, Omar Brignoli, Antonio Ferreri
soggetto, sceneggiatura, fotografia, montaggio: Ermanno Olmi
produzione: GPC, RAI, Italnoleggio
distribuzione:
Italia, Francia, 1978 ● 175 minuti

Festival di Cannes 1978: Palma d’oro e premio della giuria ecumenica ● David di Donatello 1979: miglior film
5 Nastri d’argento: regista del miglior film, miglior soggetto originale, miglior sceneggiatura,
miglior fotografia, migliori costumi ● New York Film Critics Circle Award 1979: miglior film straniero
Premi César: miglior film straniero ● Japan Academy Award al miglior film in lingua straniera

SERATA SPECIALE DEDICATA A ERMANNO OLMI

Un capolavoro intramontabile che, a monte di tutte le strumentalizzazioni politiche del ‘territorio’, racconta in modo mirabile e con grande amore un passato che non c’è più, ma che è all’origine del paesaggio sociale, culturale e geografico di gran parte della Pianura Padana e, per molti aspetti, dell’Italia intera.

Tra l’autunno 1897 e l’estate 1898, quattro famiglie vivono in una cascina della Bassa Bergamasca. La piccola comunità affronta la vita quotidiana, gli avvenimenti e i drammi con forte spirito d coesione. Quando si tratta di versare al severo Mesagiù, il padrone della fattoria, i due terzi dei prodotti, tutti cercano di barare per guadagnare pochi chili di farina. Quando la bella Maddalena va sposa a Stefano, tutti fanno corona al matrimonio e tutti accolgono i due neogenitori quando tornano da Milano con un bimbo adottato. L’uccisione del maiale, le liti, i racconti dei vecchi, le sagre e le funzioni religiose sono tanti aspetti di una vita condivisa tra tutti. Un giorno Menek, l’unico bambino che va a scuola, torna a casa con uno zoccolo rotto. Papà Batistì lavora nascostamente per tutta la notte a intagliargliene uno nuovo. Ma si è servito di un albero tagliato abusivamente. Il padrone lo caccia e tutti gli amici osservano sgomenti e impotenti la sua partenza con la famigliola verso l’ignoto e la miseria.

«Questo film non l’ho premeditato. La materia ha predisposto il mio coinvolgimento, perché io sono stato formato e forgiato dentro questa realtà rurale e contadina. Io non ho pensato al cinema, è stato questo mondo che mi ha stimolato, addirittura costretto a fare del cinema, considerando questa realtà come fosse la parte più importante della mia vita. Io non sono mai stato un cineasta per il cinema, amo la vita e rappresentare la realtà che nella vita amo di più, è come dare un ritratto della madre. La madre la riconosciamo davvero quando ormai è perduta. (…) Il problema principale era la cascina dove girare, non volevo una costruzione scenografica finta, ma una vera casa, di muratura, con le sue tracce di vita vissuta. Una sera, poco prima dell’inizio delle riprese, a gennaio, c’era un gran nebbione e stavo tentando di tornare in albergo in auto per questi tratturi stretti e mi sono perso. In quel momento si è avverato un segnale di quelli che per me sono auspici positivi, ho imboccato per caso una stradina e mi sono trovato davanti a un muro, sono sceso e ho visto davanti a me “la casa”, era lei, l’ho vista e ho pianto. E’ come arrivare in tempo a un appuntamento importante.» (Ermanno Olmi)

«(…) E’ il capolavoro dell’unico regista italiano che abbia saputo affrontare la condizione operaia o contadina non come un teorema sociale, ma come un rapporto fra uomo e uomo. E anche l’unico con cui gli attori naturali ( che in altri film di radice neorealistica parlano con la voce dei doppiatori o recitano battute scritte) sono protagonisti a pieno titolo e in prima persona. Molti di noi (in senso antropologico: tutti) abbiamo avuto un avo contadino: seguendo Olmi in questo viaggio nell’ade possono ravvisare care sembianze”. (Tullio Kezich da “La Repubblica”)”(…) L’Albero degli zoccoli è prima di tutto una favola, e come tale richiede una lettura mediata, che tenga conto di tutti gli elementi simbolici in essa contenuti, che pur si calano, come in ogni fiaba, nella realtà quotidiana, confondendovisi. In questa prospettiva, i contadini di Olmi, le loro piccole storie e la grande Storia in cui si collocano, acquistano una dimensione poetica che si apre sulla realtà sociale con linee di fuga di straordinario interesse e di viva suggestione.» (Gianni Rondolino, “Catalogo Bolaffi del Cinema Italiano”, 6, 1979)