The Bra

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The Bra

un film di Veit Helmer
con Predrag “Miki” Manojlovic, Denis Lavant, Chulpan Khamatova, Ismail Quluzade,
Paz Vega, Frankie Wallach, Boriana Manoilova, Sayora Safarova, Manal Issa,
Irmena Chichikova, Ia Shigliashvili ● sceneggiatura: Leonie Geisinger, Veit Helmer
fotografia: Felix Leiberg ● montaggio: Vincent Assmann ● musiche: Cyril Morin
produzione: Veit Helmer Filmproduktion
distribuzione: Lab 80 film
Germania, Azerbaijan, 2018 ● 90 minuti

v.o. senza dialoghi

2019, German Film Awards 2019, in concorso (miglior fotografia)
2018, Tokyo IFF, in concorso ● Vukovar FF, in concorso

giovedì 14 novembre collegamento skype con il regista, Veit Helmer

uno sguardo a Tati, una strizzatina d’occhio a Chaplin, un tocco alla Jarmusch per un film senza parole e che lascia senza parole, “un piccolo cesto che contiene gioielli preziosi”.

un film senza dialoghi, sì, ma non muto, girato da interpreti strepitosi nel quartiere Shangai di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, dove i binari del treno erano un rischioso ma obbligato luogo di vita e perfino di aggregazione, prima che l’intera zona venisse completamente demolita.

Un treno merci passa attraverso i grandi prati sotto le montagne del Caucaso. Nella cabina Nurlan, il macchinista, guida il treno lungo il percorso che passa attraverso un angusto quartiere di Baku, dove il tracciato dei binari è così vicino alle case che la vita del quartiere vi si svolge attorno e sopra: gli uomini bevono il tè al bar sulle rotaie, le donne vi stendono sopra i panni su fili sospesi tra le case. A fine giornata, Nurlan raccoglie gli oggetti rimasti inevitabilmente attaccati al treno e li riporta ai legittimi proprietari. L’ultimo giorno di lavoro, in procinto di andare in pensione, trova un oggetto inusuale: un reggiseno. Nei giorni a seguire, pensare alla donna che lo ha perso gli toglie il sonno. Decide infine di mettersi alla ricerca della sua proprietaria.

«The Bra senza dubbio inizia come una commedia ma poi il protagonista, il macchinista Nurlan, incappa in esperienze che possiamo definire tragiche. Ma è anche una storia d’amore, una storia d’amore con un finale inatteso.
Ho scelto di fare un film senza dialoghi perché considero il parlato un modo per raccontare storie non-filmico. Il cinema è essenzialmente fatto di storie che vengono narrate attraverso immagini e suoni, ma non si può semplicemente eliminare i dialoghi dalla sceneggiatura. I film senza dialoghi devono essere concepiti proprio in quanto tali, questo comporta un lavoro notevole nella scrittura. Ma credo che il risultato sia qualcosa di unico per il pubblico che guarda il film.» (Veit Helmer)

«Servendosi di una fotografia brillante, a tratti sfumata, quasi fiabesca, lo spettatore è avvolto dal calore di un quartiere brulicante di vita, ma al tempo stesso racchiuso nell’intimità di una periferia lontana dal centro della capitale. E l’arrivo del treno, che giornalmente attraversa letteralmente il quartiere, quasi disturba la quotidianità dei suoi abitanti che, su quei binari, ci vivono.
Un reggiseno perduto e un ferroviere in pensione non sono quindi che espedienti per raccontare un frammento di vite in un determinato luogo; un luogo speciale, prescelto fra tanti – come ha voluto affermare lo stesso regista durante la presentazione del suo film – meritevole di un racconto tutto suo.
E qui, ancora una volta, l’importanza del non parlato, che lasci spazio all’amplificazione di tutti gli altri suoni e rumori come a voler enfatizzare ancora di più la storia, le situazioni – a tratti comicamente esasperate – il viaggio di un uomo alla ricerca di qualcuna, o qualcosa.» (Chiara Caroli, Cineuropa)