PIOVE DESERTO

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PIOVE DESERTO

un film di Daniele Maggioni e Maria Grazia Perria
con Agnese Fois, Emilia Agnesa, Maria Teresa Campus,
Davide Hiroshi Contu, Gian Marco Tognazzi
sceneggiatura: Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria
fotografia: Giacomo Devecchi ● montaggio: Nicola Contini, Daniele Maggioni
musica: Filippo Ferrari, Cristian Labelli, Filippo Ripamonti
produzione: Mommotty
Italia, 2019 ● 80 minuti

v.o. in italiano

giovedì 23 gennaio, ore 21.40: proiezione speciale alla presenza dei registi e dell’attore Gian Marco Tognazzi. Modera l’incontro Alessandro Stellino di filmidee.it e direttore del Festival dei Popoli

Partendo da un workshop per giovani filmmaker e attori, Daniele Maggioni e Maria Grazia Perria intessono un ritratto intimo e sentito di una generazione in attesa continua, tra squarci malinconici e slanci di quotidiano lirismo.

In una città affaticata dal caldo appiccicoso di un week-end di fine estate, i destini di Anna, Bruno, Irene, Dennis, Marika e Ferruccio s’incrociano e evaporano lasciando in bocca il sapore amaro della nostalgia. Ragazzi della generazione millennians, nati dopo gli anni ottanta, si sono trovati alla soglia dell’età adulta in piena crisi economica, cresciuti senza certezze nel lavoro, nell’amore, negli affetti. Vivono a Cagliari. Per loro “partire” spesso non è un’opportunità ma una scelta obbligata per la mancanza di prospettive. Quattro episodi intrecciati e legati dal tema del partire, dove l’idea del viaggio, vissuto come ineluttabile, appare però più faticosa che avventurosa. Qualcuno parte, qualche altro sogna tutta la vita di andarsene anche se poi finisce per restare. La nostalgia accompagna comunque chi parte e chi resta.

«Manca un protagonista, o meglio c’è, ma non sono loro, quanto piuttosto quel senso di spaesamento, quella indeterminatezza identitaria che respira noiosamente nel loro respiro e che li fa figli del nostro tempo. Altri personaggi importanti del film sono la città, il mare, la spiaggia, le strade, la luce. In molti lungometraggi può capitare quasi di non accorgersi del contesto che questi elementi definiscono, qui, invece, costruiscono da un lato la temperatura psicologica dei personaggi, dall’altro parlano allo spettatore imbrigliandolo in una empatia sensoriale. Il punto di vista assunto dalla regia è quello dell’osservatorio antropologico, sobriamente distante davanti alla complessità di una materia che bolle dentro, fra desideri e bisogni, pulsioni e resistenze: partire è una scelta difficile perché apre una finestra sul vuoto.» (Antonello Zanda, TeoremaCinema)