DIABOLIK

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DIABOLIK

un film dei Manetti Bros.
con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea,
Alessandro Roia, Serena Rossi, Claudia Gerini
sceneggiatura: Michelangelo La Neve, Antonio Manetti, Marco Manetti
fotografia: Francesca Amitrano
montaggio: Federico Maria Maneschi
musiche: Pivio e Aldo De Scalzi, Manuel Agnelli
produzione: Mompracem
distribuzione: 01 Distribution
Italia, 2021 ● 133 minuti

v.o. italiano

Dopo aver raccontato il loro amore per Napoli i fratelli Manetti si trasferiscono in una Clerville inesitente e, seguendo fedelmente il fumetto leggendario, mettono in scena le avventure del Re del Terrore, un mito dell’immaginario collettivo.

Clerville, anni ’60. Diabolik, un ladro privo di scrupoli la cui vera identità è sconosciuta, ha inferto un altro colpo alla polizia, sfuggendo con la sua nera Jaguar E-type. Nel frattempo c’è grande attesa in città per l’arrivo di Lady Kant, un’affascinante ereditiera che porterà con sé un famoso diamante rosa. Il gioiello dal valore inestimabile non sfugge all’attenzione di Diabolik che, nel tentativo di rubarlo, rimane incantato dal fascino irresistibile della donna. Ma poi la vita stessa del ladro è in pericolo: l’incorruttibile e determinato ispettore Ginko e la sua squadra hanno trovato il modo di intrappolare il criminale, e questa volta Diabolik non sarà in grado di uscirne da solo.

«Spero che sia un bel film il nostro e ringraziamo prima di tutto chi ha ideato Diabolik, le sorelle Giussani. Hanno creato un personaggio fantastico e incredibilmente sfaccettato, molto più di quanto si pensi. Molti non lettori lo conoscono solo dalle immagini, ma Diabolik ed Eva Kant sono dei grandi personaggi: sono la capacità assoluta di scrivere personaggi che ci possono far capire come si può stare dalla parte del male.» (Antonio e Marco Manetti)

«Non era di certo un compito semplice quello di tornare a far vivere sullo schermo il criminale inguainato in una tuta aderente nera che si muove come un’ombra minacciosa nella borghese Clerville (…). Era dal 1968, quando Mario Bava firmò il suo adattamento, che nessuno osava tanto. (…) Un’operazione come quella portata a termine dai Manetti, dunque, non può essere presa alla leggera, né minimizzata. È il cinema italiano che prova a riscrivere uno dei suoi miti della cultura popolare, e a farlo tornare in vita. (…) Mentre Mario Bava nel 1968 coglieva l’aspetto spudoratamente moderno delle sorelle Giussani e architettava il suo film come un viaggio lisergico nell’avant-pop (…) questo lusso ai Manetti Bros. non è concesso. Non si può più giocare al pop, perché si perderebbe qualsiasi connessione tra l’oggetto cinematografico e il tempo in cui esso vive. Scegliendo una via impervia, e coraggiosa, i due registi e sceneggiatori decidono di tornare alla semplicità del fumetto, alla sua dimensionalità quasi inevitabilmente astratta, agli spigoli delle sue prospettive. (…) danno vita a un fantasma (è lo stesso Diabolik ad apostrofarsi così) e gli ectoplasmi, si sa, sono fuori dal tempo, baluginii che si perdono nella notte ma possono, con le loro forme bizzarre, atterrire ed emozionare. (…). Nel suo non accettare il tempo vigente Diabolik può permettersi di essere davvero la narrazione di un criminale impossibile, in uno Stato inesistente, con una serie di relazione implausibili. (…) Con una brillante intuizione i Manetti (…) ambiscono a creare una mitologia, ad accendere la fiammella della leggenda (…). Nel loro prendere di petto un albo così iconico, e così legato agli anni Sessanta, non fanno che ribadire la loro volontà di tenersi al di fuori del magma contemporaneo, e allo stesso tempo di voler trovare nel romanticismo la chiave d’accesso all’imperturbabile aplomb diaboliko» (Raffaele Meale, quinlan.it)