RAPITO

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RAPITO

un film di Marco Bellocchio
con Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala, Leonardo Maltese, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni
sceneggiatura: Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli ● fotografia: Francesco Di Giacomo
montaggio: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
musiche: Fabio Massimo Capogrosso
produzione: IBC Movie, Kavac Film, Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution
Italia, Francia, Germania, 2023 ● 135 minuti

v.o. Italiano

2023 Festival di Cannes: Concorso

Marco Bellocchio ritorna sul grande schermo con un altro caso di rapimento dopo i due film su Aldo Moro: questa volta il protagonista è Edgardo Mortara, il bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato sotto la custodia di Papa Pio IX. Il regista de Il Traditore e Esterno Notte continua la sua indagine tra le pieghe contraddittorie della Storia.

Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.

«Io ho fatto il film con un grosso coinvolgimento, leggendo, informandomi, documentandomi e anche inventando. Ma senza il pensiero di voler condannare la violenza. (…) Edgardo tenta per tutta la vita una riconciliazione impossibile, non rinnegherà mai i suoi genitori, le sue origini. A questa conversione assoluta che lo accompagna fino alla morte, non mancano le ribellioni inaspettate, anche inconsce. Penso alla scena in cui in chiesa si lancia verso il Papa, come per abbracciarlo, ma forse anche per farlo cadere. Non sarà mai un automa del pontefice. E paga anche fisicamente questa sua conversione, malato per lunghi periodi. Io ho scelto soltanto di rappresentare un bambino violentato nell’anima e poi un uomo che, fedele ai suoi violentatori che crede suoi salvatori, diventa alla fine un personaggio che ci esime da ogni spiegazione razionale. Rapito è un film, non un libro di storia o filosofia, tantomeno tesi ideologica» (Marco Bellocchio)

«Pio IX muore invocando un ritorno alla vergine madre. Edgardo accorre al capezzale della sua, per un ultimo disperato tentativo di salvezza e riconciliazione. Ma non c’è conversione possibile. Condizione di vita è restare sospesi. Così come Bellocchio, che apre un discorso sulla fascinazione della potenza delle immagini, illusione cinematografica e suggestione cristiana più che ebraica, e si muove tra la venerazione e l’iconoclastia. Tira fuori come sempre il massimo dai suoi attori, un Pierobon lucifero, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Leonardo Maltese e soprattutto il piccolo Enea Sala. Ma trova, a volte, nelle figure che si stagliano negli spazi, un’intensità espressiva da muto. Ormai il suo cinema sembra avere una potenza ejzenstejniana, nella costruzione dei quadri e dei movimenti di massa, nei ritmi del montaggio. Eppure materializza il sogno e la visione. Ha una densità, una tensione assoluta che produce sempre uno squilibrio vitale, ma anche una levità tutta sua, sempre più evidente. Continua a girare intorno a un buco nero. Eppure gira, come una danza.» (Aldo Spiniello, sentieriselvaggi.it)