POM POKO

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POM POKO
Heisei tanuki gassen ponpoko

un film di Isao Takahata
sceneggiatura: Isao Takahata ● fotografia: Atsushi Okui
montaggio: Takeshi Seyama ● musiche: Shang Shang Typhoon
produzione: Studio Ghibli
distribuzione: Lucky Red
Giappone, 1994 ●  119 minuti

v.o. giapponese con sottotitoli in italiano

da un’idea di Hayao Miyazaki, POM POKO è l’opera più apertamente politica di Isao Takahata, inno ambientalista che critica aspramente l’urbanizzazione e la deriva capitalista del Giappone, e allo stesso tempo elegia dolorosa su un mondo contadino destinato a scomparire, rappresentato dai combattivi e paffuti tanuki.

domenica 28 Luglio
11:00

lunedì 29 Luglio
21:30

martedì 30 Luglio
12:30

lunedì 5 Agosto
19:20

Il Giappone è in piena ricrescita economica: le aree residenziali sono in continua costruzione ed i quartieri si allargano a dismisura. A causa della grande urbanizzazione, i poveri taniki, dei piccoli cani procioni, trovano il proprio territorio devastato. Diventando sempre più difficile trovare cibo e rifugio, questi animali devono usare le loro abilità magiche per cercare di salvare il proprio ambiente naturale e lottare contro l’avidità dell’uomo.

«Ritengo che, con la modernizzazione, l’uomo abbia reciso quel legame che lo ha sempre tenuto stretto alla natura. Facendo questo, sono convinto che abbia dimenticato qualcosa di importante. Credo che gli esseri umani e gli animali stiano sul medesimo livello e che i primi non debbano soverchiare i secondi, ma rispettarli. Mi sono messo al lavoro su Pom Poko con ben saldi nella mente questi semplici principi.» (Isao Takahata)

«È un inno alla ribellione, Pom Poko, e alla lotta per la rivendicazione dei propri diritti (…) ma è allo stesso tempo anche un’elegia dimessa su un’estinzione che pare pressoché inevitabile. Il tanuki può resistere nella sua addolcita forma “ghiblesca”, o in una più ferrea stilizzazione – come avviene soprattutto nelle scene di combattimento – ma non ha più appigli nel reale. Non esiste al di fuori di Pom Poko. Non può esistere più in un Giappone dominato dal liberismo economico, devastato dall’avanzata del Capitale. Nell’antimodernismo di Takahata non si deve leggere una negazione della realtà, né la melanconia verso un passato imperiale e bellico; tutt’altro, vi si deve leggere uno sguardo in direzione di un non-luogo pacificato in cui la tradizione non ostacola mai il vivere quotidiano, e la sua gioia.» (Raffaele Meale, quinlan.it)