4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO – orario da definire

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4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO

un film di Dario Argento
con Micheal Brandon, Mimsy Farmer, Bud Spencer
sceneggiatura: Dario Argento ● fotografia: Franco Di Giacomo
montaggio: François Bonnot ● musiche: Ennio Morricone
produzione: Seda Spettacoli
distribuzione: Cat People
Italia, Francia, 1971● 102 minuti

v.o. in italiano

Onirico, spietato, ossessionato, istintivo: un cult di Argento rimasto a lungo difficile da reperire ora ritorna in sala con il suo straordinario cocktail di thriller, commedia, romance, fantascienza, musica e spunti autobiografici cuciti insieme.

lunedì 14 Luglio
07:00

Roberto Tobias è un musicista che da qualche tempo è vittima di pedinamento. Una sera, trovandosi faccia a faccia con l’ignoto persecutore, lo affronta e nella colluttazione che ne segue lo pugnala a morte. Ma qualcuno ha assistito alla scena e ha fotografato Tobias. Il musicista, terrorizzato, si confida con la moglie Nina e con un amico filosofo, “Dio”, che lo indirizza a un investigatore privato.

«Non m’interessava realizzare un giallo classico, il mio desiderio era quello di mescolare i generi, di provare a spingere un po’ piú in là la ricerca di un mio stile personale. «Ogni elemento avrebbe dovuto suggerire un progressivo slittamento dal quotidiano verso l’onirico, dall’Italia verso il mondo. Intendevo scaricare addosso allo spettatore tutte le mie ossessioni: i sogni premonitori, le lettere minatorie, l’incomunicabilità fra marito e moglie, gli scherzi crudeli del destino e come nel Gatto – uno spunto che potesse stare a metà strada tra il fantastico e la scienza vera e propria.» (Dario Argento)

«Terzo e ultimo capitolo della cosiddetta “trilogia degli animali” (aperta nel 1970 dal miracoloso esordio L’uccello dalle piume di cristallo e proseguita l’anno successivo con Il gatto a nove code), 4 mosche di velluto grigio rielabora molti degli stilemi narrativi e visivi sperimentati nei suoi primi due film e preconizza al suo interno già alcune delle suggestioni visive che prenderanno piede nel cinema di Argento nel corso degli anni successivi. (…) I cliché del giallo, dalla detection fino all’inevitabile – quanto in gran parte prevedibile – coup de théâtre finale, sono semplici orpelli allestiti con cura per dare la possibilità ad Argento di sfogare il proprio estro creativo: già i titoli di testa, con la macchina da presa impegnata in inquadrature impossibili (di cui una dall’interno di una chitarra acustica), delineano in qualche modo una linea di passaggio fondamentale per comprendere l’evoluzione artistica che vivrà il cinema di Argento nel corso dei successivi quindici anni.» (Raffaele Meale, Quinlan.it)