DAU. NATASHA

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DAU. NATASHA

un film di Ilya Khrzhanovskiy, Jekaterina Oertel
con Natalia Berezhnaya, Olga Shkabarnya, Vladimir Azhippo, Alexei Blinov, Luc Bigé
soggetto: Ilya Khrzhanovskiy, Kora Landau-Drobantseva
fotografia: Jürgen Jürges ● montaggio: Brand Thumim ● musiche: Erik Nordgren
produzione:  Phenomenon
distribuzione: Teodora
Germania, Ucraina, Gran Bretagna, Russia, 2020 ● 135 minuti

v.o. russo, ucraino, inglese, francese con sottotitoli in italiano

2020 Berlinale, Orso d’argento per il miglior contributo artistico a Jürgen Jürges
EFA: Candidatura miglior attrice a Natasha Berezhnaya ● Haifa IFF, Menzione speciale

il film che ha scandalizzato le platee della Berlinale 2021. una distopia che, a partire da un esperimento performativo molto più ampio,  trasforma uno storico istituto scientifico sovietico in un vero e proprio teatro della crudeltà, proponendosi di raccontare il passato del regime stalinista attraverso un gigantesco Truman Show portato agli estremi. centinaia di ore di girato che, tra scrittura e improvvisazione, hanno dato luogo a più fili narrativi destinati a confluire in più film, mostre e installazioni.

DAU non è solo un film, ma un laboratorio multimediale, un esperimento socio-storico e psicologico che ha coinvolto oltre 400 attori non professionisti chiamati a vivere per tre anni sul più grande set mai costruito. Lo scopo era quello di ricreare la vita in Unione Sovietica tra il 1938 e il 1968, concentrando i vari personaggi all’interno di un istituto scientifico reale, il Lev Landau Institute (da cui l’abbreviazione DAU). Troupe e attori hanno dato vita a un mondo parallelo, in un’incredibile convergenza tra realtà e finzione: il risultato è un’operazione visionaria che tiene insieme cinema, performance, scienza, critica sociale, esperimento antropologico. Diversi artisti hanno visitato l’istituto nel corso del tempo, da Marina Abramovic a Romeo Castellucci, mentre lo scrittore Gianluigi Ricuperati si è ispirato a DAU per il suo romanzo Est. Dal progetto complessivo sono stati tratti diversi film, ciascuno autonomo nel raccontare un frammento di quell’universo, nonché una grande installazione presentata a Parigi al Théâtre de la Ville, al Théâtre du Châtelet e al Centre Pompidou.
Il film di Khrzhanovsky racconta le violenze del regime sovietico dal punto di vista di Natasha, umile cameriera nella mensa dell’istituto scientifico DAU. Dopo una festa in cui scorrono fiumi di alcool, Natasha si abbandona a una notte di passione con uno scienziato francese, Luc. Convinta all’inizio di aver trovato l’amore, la donna si ritrova presto sola e in grave pericolo: venuto a conoscenza dei suoi rapporti con uno straniero, un funzionario del KGB la convoca per un interrogatorio. Un film  unico, difficile da dimenticare, che vede alla fotografia in 35mm Jürgen Jürges, storico collaboratore di Fassbinder e Haneke.

«Filmavamo solo quando sapevamo cosa volessimo filmare; non abbiamo semplicemente girato migliaia di ore senza alcuno scopo. Abbiamo discusso di ogni possibile aspetto delle cose con gli attori – anche se queste persone non sono professionisti, sono attori perché recitano. Rimangono all’interno di un mondo artificiale e all’interno del nostro tipo di accordo su ciò che stavamo facendo. (…) Penso che le persone che hanno partecipato siano eroi (…) perché hanno investito tempo ed emozioni nel tentativo di creare qualcosa insieme, e non puoi sfruttare le persone in questo modo, perché non è uno spettacolo voyeuristico stile Grande Fratello. Si preparavano consapevolmente, trascorrendo del tempo in questo tipo di ambiente. Quando è arrivato il momento di girare, c’erano dei blocchi precisi di riprese, e a quel punto dovevano sapere che non potevano dare le spalle alla telecamera. Conosci alcune regole e segui quelle regole. Sai che a volte c’è gente che viene da te e ti cambia i microfoni, e così via. La cosa più interessante è che persone di gruppi sociali molto diversi e con visioni della vita molto diverse si sono riunite per raccontare una storia su questo universo.» (Ilya Khrzhanovskiy)

«Un “monstrum” non solo cinematografico ma multimediale, tra esperimento socio-storico, laboratorio psicologico, reality show. Per realizzarlo, nel 2009 venne costruito in Ucraina un enorme set di 12 mila metri quadrati, dove centinaia di persone (attori, comparse, tecnici e maestranze) vissero per tre anni 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, come in un Truman Show, una distopia discronica ambientata in un istituto di ricerca sovietico (realmente esistito) ai tempi del socialismo reale. (…)  In un crescendo che mette allo scoperto i nervi dello spettatore, i metodi di coercizione e di violenza fisico-psicologica assumono un’evidenza forse mai vista al cinema. È un teatro della crudeltà gestito con mezzi – almeno in apparenza – coercitivi anche dalla regia, che gioca sempre di più la partita sul corpo della Oertel. In modi che probabilmente in futuro, dopo il #metoo, diventerà difficile replicare.» (Roberto Nepoti, Repubblica)