DOSTOEVSKIJ – ATTO II

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DOSTOEVSKIJ

un film dei FRATELLI D’INNOCENZO
con FILIPPO TIMI, GABRIEL MONTESI,
CARLOTTA GAMBA, FEDERICO VANNI
sceneggiatura: FRATELLI D’INNOCENZO ● fotografia: MATTEO COCCO
montaggio: WALTER FASANO ● musiche: MICHAEL WALL
produzione: SKY STUDIOS e PACO CINEMATOGRAFICA
distribuzione: VISION DISTRIBUTION
Italia, 2024 ● 300 minuti

v.o.  italiano

2024 Berlinale: Berlinale Special

domenica 14 luglio: ospiti in sala i fratelli D’Innocenzo

“Dostoevskij”, la prima serie ideata, scritta e diretta dai Fratelli D’Innocenzo (La terra dell’abbastanza, Favolacce e America Latina) sbarca al cinema dopo la presentazione in anteprima mondiale alla 74/ma edizione della Berlinale. un thriller psicologico che ruota attorno a Enzo Vitello, un brillante e tormentato detective che si ritrova a confrontarsi con la visione del mondo del killer che sta inseguendo, sentendo risuonare in lui le stesse inquietudini e i dubbi. preparati a fare un viaggio immersivo negli abissi dell’animo umano…

martedì 16 Luglio
16:50

mercoledì 17 Luglio
21:40

In un lasso di terra scarno e inospitale, il poliziotto Enzo Vitello, uomo dal buio passato, è ossessionato da “Dostoevskij”, killer seriale che uccide con una peculiarità: accanto al corpo l’omicida lascia sempre una lettera con la propria desolante e chiarissima visione del mondo, della vita e dell’oscurità che Vitello sente risuonare al suo interno.

«Io credo che nessun uomo abbia mai gettato al vento la sua vita, quando valeva la pena di conservarla.
David Hume

Le estreme conseguenze dell’essere vivi. Di questo narra la serie. Un uomo che ha perso tutto in una terra di uomini che hanno perso quasi tutto. Un uomo che ha scelto di perdere anche se stesso. O forse no. C’è da risolvere un caso. Un caso che entra di diritto nelle cose che ti appartengono. È il banchetto dell’ultimo racconto, dove solo chi sopravvive può testimoniare.
Il nostro punto di vista è Enzo Vitello, l’uomo che ha perso tutto. Che va incontro all’entità che dà la morte credendo di fare del giusto. Un serial killer perturbante (ribattezzato Dostoevskij) analizza il caos della vita, l’inutilità di essa, la fonte di dolore, disperazione, annichilamento: vita come posizionamento nel nulla. Le lettere che Dostoevskij lascia accanto a ogni cadavere, a ogni sua impresa, sono un coagulato di affilata sofferenza, l’immondizia di essere vivi e l’unica giusta espiazione: divenire morti. Enzo Vitello in cerca del serial killer Dostoevskij. Due solitudini di ferro che non hanno mai smesso di credere alla loro realtà dei fatti. A complicare l’investigazione di Vitello una squadra che comandi da oltre vent’anni e che devi ora tradire, una figlia che non vedi da troppo (ma il suo spettro ti viene a cercare ogni notte), una malattia terribile che insudicia il labirinto che è il nostro protagonista.» (Fratelli D’Innocenzo)

«Con Dostoevskij i gemelli D’Innocenzo, distaccandosi in gran parte dalla prammatica della serialità televisiva, affidano a un’opera lunga cinque ore una riflessione che utilizza i codici del poliziesco per riflettere sulla pulsione di morte dell’individuo. Permane la loro estetica dello “squallore”, al centro di un racconto comunque avvincente e dominato dall’ottima presenza scenica di Filippo Timi. […] Consapevoli di essere a loro volta degli omicidi (d’altronde in inglese il verbo to shoot sta a indicare tanto il “girare” quando lo “sparare”) i due gemelli costringono gli spettatori a tenere gli occhi spalancati sull’orrore, pur lasciando fuori campo praticamente ogni omicidio. Non è più interessante la forma dell’omicidio, ma l’impatto che esso ha sulla psiche di chi resta. Non è importante mostrare il momento del trauma, ma gli effetti che lascia sui sopravviventi. Qualcuno rintraccerà echi di True Detective in Dostoevskij, anche per l’ovvio apparentamento seriale, ma sottopelle si rimanda con lo sguardo al Dario Argento di Profondo rosso (la visita in un orfanotrofio in disuso da molti anni fa riemergere ricordi angosciosi della doppia indagine di David Hemmings tanto nella “villa del bambino urlante” quanto nella scuola media “Leonardo da Vinci” – nella realtà dei fatti il capitolino Mamiani), mentre lo sguardo dei registi non è mai parso così sinceramente accorato,» (Raffaele Meale, quinlan.it)