
ARTE E PARTE PRESENTA
ESTERNI ONLINE
un film di Susanna Schoenberg, Johanna Steindorf, Evamaria Schaller, Céline Berger
Germania, 2020 ● 57 minuti

Gli ESTERNI sono territori, paesaggi, cartografie, montagne, confini messi in scena tra il Marocco e la Francia, passando per la Spagna e arrivando infine a Milano, zona Centrale.
Il video è accompagnato da un dialogo tra le autrici che riportiamo qui accanto
“ESTERNI online” è un film a episodi distribuito da
arte-e-parte, agenzia per la collaborazione
tra artiste/i e la contestualizzazione della pratica dell’arte contemporanea.
la proposta online è stata elaborata durante il lockdown a seguito
della sospensione degli appuntamenti con l’arte in sala su grande schermo proposti nei mesi scorsi
Susanna Schoenberg:
Ci diamo appuntamento per video, il 18 maggio 2020. Evamaria Schaller è nel suo atelier a Brühl, a metà strada tra Colonia e Bonn. Céline Berger è a poche centinaia di metri da casa mia, in quarantena nel suo appartamento dopo essere rientrata da un periodo di residenza in Canada. Johanna Steindorf si sta disperando al parco giochi con il figlio Malte di 3 anni, che eccezionalmente rifiuta il sonnellino. Io modero e prendo appunti.
Abbiamo appena visionato le quattro opere video raccolte nel film ad episodi dal titolo “ESTERNI online”. L'”Online” si riferisce alle strategie di screening alternative che il lockdown delle attività pubbliche ha portato con sé. Gli “ESTERNI” sono il nostro contributo, il nostro desiderio di mondo, il contesto del pensiero, come paesaggio, orizzonte, linguaggio.
Evamaria Schaller: L’evocazione degli esterni inizia già con i nomi delle autrici… in ordine di apparizione formano un ciclo di suono (Schall), montagna (Berg) e pietra (Stein).. Anche dal punto di vista del paesaggio la successione delle opere si sviluppa lungo una linea che inizia con l’esterno più esterno, per così dire, che nelle opere successive in qualche modo si “interiorizza”..
Susanna Schoenberg: Le opere stesse sono state scelte in funzione del loro essere in esterni, per la loro profondità di campo, per l’idea di paesaggio che, ognuna a suo modo, rappresentano. La visione dell’esterno vuole essere un beneficio, un regalo in uno spazio di visione ridotto come quello del proprio schermo televisivo o del proprio computer portatile.
Evamaria Schaller: Allo stesso tempo tutti questi esterni contengono e mostrano la dimensione del limite, del confine. Le montagne stesse sono un confine; poi il riferimento ai confini territoriali europei, la questione degli accessi, territoriali, ma anche nel mondo del lavoro, come in quello della rappresentazione digitale.. il tema del confine è presente in tutti i quattro episodi. Fra l’altro non ricordavo che in “Monitoring Seaborders” si ribaltasse la videocamera, rivelando così mascherine e guanti..
Susanna Schoenberg: Già, nel 2014 si trattava di Ebola. L’imbarcazione della Guardia Civil che mi prese a bordo per le riprese del confine marittimo tra Spagna e Marocco era incaricata dei rifornimenti di mascherine e guanti per il personale che si stava occupando dei boat people al porto di raccolta.
Céline Berger: Neanch’io mi ricordavo della caduta della videocamera. Lo ho vissuto come un momento molto bello, e mi é piaciuto anche fare l’esperienza di dare importanza ad un nuovo aspetto in un’opera già vista.. Guardarla con lo sguardo di oggi. Sento ancora il jet-lag, comunque é vero, si tratta di esterni, ma il confine è il soggetto più forte.
Susanna Schoenberg: Il confine è l’esterno, per definizione. Non è il confine che é per definizione una dimensione negativa, restrittiva, o coercitiva. Il confine è anche il proprio confine, nel senso di una visione che va al di là.. si tratta chiaramente di un desiderio, di un’aspirazione. Questa immagine nasce con l’immagine del paesaggio, come qualcosa che si eleva, che scala le montagne, va per mare per cercare nuovi orizzonti.. dal punto di vista cognitivo il confine é qualcosa di positivo, di poetico. Il confine non é una metafora, é uno strumento percettiva. Come la “edge recognition”, il riconoscimento dei bordi per la vista.. E le montagne di “DOZE” sono le stesse che in “Monitoring Seaborders” si vedono dallo scafo della guardia costiera..
Evamaria Schaller: In effetti è proprio vicino.
Susanna Schoenberg: Che effetto ti ha fatto rivedere “DOZE”?
Evamaria Schaller: A ogni visione si vedono cose diverse. E’ sorprendente come molte riflessioni così rilevanti in fase di montaggio, non abbiano più nessun peso nella visione dell’opera oggi, per esempio. Si tratta di una nuova visione. Rivedo che ho effettuato allora le riprese senza ripetizioni, rivivo il modo di essere e lavorare con il luogo, la bellezza del paesaggio, ma anche la pressione, perché ho effettuato le riprese durante il ramadan. Così mi ricordo di me da sola nella medina, tre anni fa..
Susanna Schoenberg: Hai riflettuto soprattutto la tua esperienza esistenziale?
Evamaria Schaller: Sí. Certo, mi ha colpito anche la bellezza delle immagini. Ho ripensato anche al lavoro di collaborazione con Simohammed Fettaka, un’esperienza che considero tutt’ora molto positiva. Comunque non sono riuscita a vedere tutti gli episodi del nostro film di fila, ho dovuto fare delle pause.
Susanna Schoenberg: Personalmente la prima cosa che ho registrato oggi nella visione del tuo lavoro, é stata la forte presenza dell’idea di paesaggio, ovvio. La seconda l’eliminazione sistematica del volto (umano). Il trattamento del volto é un elemento ricorrente nel tuo lavoro: vuoi parlarne?
Evamaria Schaller: Sin dalle prime performance.. inizialmente usavo i capelli per nascondere il volto. Corrisponde al desiderio di lasciare agire la fisicità, il corpo come presenza.. in questo caso ho indosso un Jellaba, un abito berbero unisex, asessuato in origine, anche se il nero è indossato preferibilmente da donne. In Marocco ho provato e osservato una forte differenziazione di trattamento tra uomini e donne, così ho considerato importante agire come un agente neutro, non riconoscibile come donna. Un corpo umano in rapporto al paesaggio, senza un genere. Un desiderio di neutralità del corpo femminile, che non sia esposto in quanto tale.. questo è un aspetto con cui cerco di lavorare da molto tempo: come vengono categorizzati i corpi? un processo che spesso parte dal volto. Penso si tratti di un desiderio di essere presente senza che lo sguardo sia l’agente principale.
Céline Berger: Capisco perfettamente, e funziona. (Il volto nascosto) mi permette di considerare l’essenza di una presenza umana. Anche la Jellaba funziona senza essere codice culturale, è senza nazione.. coprirsi il viso con vegetali ha qualcosa di arcaico, pone l’umano e il paesaggio sullo stesso piano. Un’azione semplice e allo stesso tempo così forte..
Susanna Schoenberg: Hai detto che ogni azione è stata ripresa una volta sola? Però l’azione, per quanto unica, è concepita per la registrazione e un solo punto di vista, quello dell’inquadratura. Possiamo parlare delle differenze rispetto ad una performance in senso più stretto?
Evamaria Schaller: Insieme a Simohammed Fettaka avevo già scelto le situazioni, i luoghi dove mettere in scena l’azione. Alcuni materiali me li sono procurati altrove, come il pane e la lana, il resto l’ho trovato sul posto. La situazione fatta di luogo + punto di vista + materiali + azione, viene concepita in sito, poco prima di iniziare le riprese. Ovviamente tutto è concepito per l’immagine, in questo senso è molto diverso dalla situazione di performance vera e propria, una situazione concepita con e per il pubblico.. per quanto anche durante le riprese ci fosse del pubblico, soprattutto bambini che ci seguivano dappertutto. Comunque è molto diverso il processo, la comunicazione durante lo sviluppo dell’azione avviene esclusivamente con l’immagine con i suoi 4 angoli. E’ un modo di lavorare diverso.
Susanna Schoenberg: Quale legame mantieni con il linguaggio cinematografico?
Evamaria Schaller: Il film è una delle lingue che parlo, o che io credo di saper parlare. Faccio film dall’età di 14 anni. La performance dal vivo è un altro linguaggio.. sono entrambe lingue straniere per chi non è abituato ad usarle.. ma io ho imparato entrambe, me le sono insegnate da sola, e le devo esercitare continuamente, per saperle “parlare”. Adesso a causa di Corona non potrò fare performance a lungo, e quando finalmente potrò farne di nuovo una, morirò di paura..
Susanna Schoenberg: Essere e agire nello spazio è un linguaggio che non possiamo trascurare a lungo.. per alcune posizioni e pratiche artistiche l’essere presente, l’essere nello stesso spazio, è una condizione esistenziale.. (silenzio) E in merito alla colonna sonora di “DOZE”?
Evamaria Schaller: E’ l’oggetto principale della collaborazione con Simohammed Fettaka, che ha composto la musica estraendo suoni dalle riprese originali. Alcune cose non mi piacciono necessariamente, ma in complesso sono molto convinta della collaborazione.
Céline Berger: Si sente che il sound design non è tuo. Ma alcuni passaggi mi sono veramente piaciuti, per esempio la sequenza nella medina.
Susanna Schoenberg: E le immagini dei rifiuti?
Evamaria Schaller: I rifiuti in Marocco fanno parte del paesaggio.
Susanna Schoenberg: Potrebbe sembrare una polarizzazione tra natura e cultura, tra nature-made e human-made..
Evamaria Schaller: Le montagne così come le vediamo nelle immagini sono anche un prodotto dell’uomo. È stato estratto così tanto, e i francesi costruiscono tuttora così tante strade.. il paesaggio ha molti “tagli” che non sono “naturali”.
Susanna Schoenberg: Cosa hai da dire in merito al paesaggio nel film di Céline, “Ballade”?
Evamaria Schaller: Per quanto il punto di vista sia sempre inclinato, non si vede mai una cima, giusto? Non si vede mai il cielo.. molto interessante, l’orizzonte appiattito ti fa sentire come in un ufficio, ci troviamo in esterni, ma manca l’esperienza del guardare lontano.. manca la rappresentazione dell’orizzonte. Ci si immagina un paesaggio, senza vederlo veramente.
Céline Berger: Sí, l’orizzonte si vede solo nell’ultima inquadratura.
Susanna Schoenberg: Prima di terminare la post-produzione per la versione italiana, Céline mi parlò di “Ballade” come un’imposizione eccessiva per lo spettatore..
Evamaria Schaller: Parliamone..!
Céline Berger: È un film asciutto, senza emotività.. Per realizzare il film ho frequentato molti corsi di coaching, durante i quali si fa pratica di business coaching; ho fatto registrazioni audio e trascritto i contenuti. I dialoghi del film nascono da queste trascrizioni. Il fatto che a volte i testi siano riportati nella terza persona corrisponde a una tecnica del coaching, che differenzia tra una lingua associativa e una dissociativa. In alcuni momenti viene richiesto di rivivere i fatti emotivamente, in altri di praticare distanza. Così a volte i “clienti” parlano di sé nella prima persona, a volte nella terza persona. Nei punti dove nel film si passa dal piano associativo a quello dissociativo e viceversa, viene bloccata l’immagine.. Queste formalizzazioni rendono difficile comprendere cosa stiano facendo i personaggi: perché proprio in quel paesaggio? Poi ci sono le cesure, e la velocità eccessiva di comunicazione, tipica del mondo aziendale. Che non lascia tempo per riflettere.
Recentemente ho fatto un lavoro nel settore dello “startup”, che in termini di comunicazione è ancora più difficile.. a volte non ero in grado di capire!
Comunque in “Ballade” credo che forse venga prodotta troppa distanza. E poi manca lo spazio per respirare.
Ho un rapporto difficile con questo film, il primo in cui abbia lavorato con gli attori in maniera così diretta.. Forse il film è un’imposizione eccessiva per me, più che per lo spettatore!
Susanna Schoenberg: Di fatto é molto probabile che non si riesca a “leggere” tutto ciò che questo film “inscrive” in termini di linguaggio formale. “Ballade” sviluppa un linguaggio cinematografico che funziona come un testo altamente formalizzato. Una spettatrice allenata può eventualmente decodificare tutti i livelli, ma anche se non ci riesce: l’importante é la qualità del linguaggio. E non tanto la sua auto-evidenza. Esistono così tanti esempi di comunicazione cinematografica che si può comprendere, che però non mette a disposizione nessun valore estetico autentico, film non fatti bene, per così dire.
Trovo molto interessante voler “mostrare” la dimensione emotiva dell’esperienza umana praticando degli esercizi di articolazione formale. Nella sequenza d’apertura, per esempio, in cui il capo progetto é una donna, mentre gli altri capi coinvolti sono uomini: per quanto la descrizione della situazione sia tecnica e non articoli eventuali aspetti problematici nel rapporto tra persone per condizione di gender, è proprio la relazione sociale del rapporto tra colleghi e il loro “genere” che viene messo in scena, acquistando un peso drammatico notevole. Per non parlare poi della sequenza di chiusura: un classico esempio di sofferenza e malessere come realtà iper-soggettiva..
Céline Berger: Un’istruttrice di coaching ripeteva volentieri “non possiamo andare in profondità, dobbiamo lavorare in superficie.” Non c’è bisogno di articolare i fenomeni per poter elaborarli. Le emozioni vanno materializzate, linguisticamente, tutto avviene puramente a livello linguistico. “L’approfondimento non è il nostro lavoro”, diceva.
Una posizione, che io trovo problematica, anche triste. A volte simili tecniche mi sembrano un certificato di povertà di spirito: tecniche che conoscono solo segnali in entrata e in uscita, in mezzo rimane tutto poco chiaro.
È la fiducia nelle tecniche che convince i “clienti”: alla fine è successo qualcosa, ma nessuno sa bene come.
Susanna Schoenberg: La tua critica alla fede nella tecnica rimane comunque al di fuori del tuo lavoro. Anche questo fatto rende “Ballade” interessante: il film mostra rispetto per le persone coinvolte. Che si incontrano nel film come se fossero delle astrazioni.
Evamaria Schaller: Quello che dicono é altamente emotivo. Allo stesso tempo “stemperato”. I personaggi rimangono inaccessibili, anche per merito del doppiaggio (dal tedesco all’inglese). Mi ha affascinata questa convinzione, che parlare diversamente dei fatti, ne possa cambiare la valenza. Un’idea che mi ha prima oppressa, poi sollevata, a seconda del momento. Fermare l’immagine, fare una pausa tra emozionalità e razionalità. Affascinante veramente. Mi piace anche molto come parlano.
Susanna Schoenberg: Come hai scelto il paesaggio?
Céline Berger: Volevo qualcosa di spoglio.. Le metafore paesaggistiche vengono usate molto nelle tecniche di coaching.. La metafora del viaggio, del percorso, è molto presente. Mentre uno sconosciuto ti accompagna, come presenza amichevole.. che alla fine mi dice “adesso hai bisogno solo di trovare la tua strada di casa”.. Le riprese le abbiamo realizzate nel Massif Central in Francia, poco prima della fioritura dei prati.
Susanna Schoenberg: Comunque, per capire il tuo film, bisogna coltivare uno sguardo positivo.. Johanna scrive, che non ci può raggiungere. Peccato. Nel caso del suo lavoro il paesaggio funziona molto diversamente. È una questione tele-comunicativa, per così dire. Il film scelto per “Esterni online” è una produzione del Cinema Beltrade. Un’opera rimasta incompiuta, in un certo senso. Infatti Johanna non è più riuscita ad andare a Milano per registrare la colonna sonora del film.
Evamaria Schaller: Il film di Johanna è un viaggio temporale, un racconto di trasformazioni..
Céline Berger: Il finale mi piace, il messaggio voi siete lì, anche senza essere lì… proprio come noi, d’altronde.