
GLI ULTIMI GIORNI DELL’UMANITÀ
un film di enrico ghezzi, alessandro gagliardo
con Aura Ghezzi e con le voci di Adelchi Ghezzi, enrico ghezzi e Toni Servillo;
montaggio: enrico ghezzi, alessandro gagliardo ● musiche: Iosonouncane
produzione: Matango con Rai Cinema e Istituto Luce-Cinecittà
distribuzione: Cineteca di Bologna
Italia, 2022 ● 193 minuti
v.o. italiano con sottotitoli in italiano
2022 Mostra del cinema di Venezia
lunedì 8 maggio ore 20 proiezione speciale
ospiti in sala – a breve maggiori dettagli

Presentato a Venezia 2022, questo monumentale film deve la sua ossatura all’archivio privato di enrico ghezzi: una vita videocamera alla mano, dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Duemila. A questi preziosi ed eterogenei materiali si sono aggiunti, in quattro anni di ricerca e montaggio, estratti dai film di Abel Ferrara, Guy Debord, Aleksandr Sokurov, Bela Tarr, Straub & Huillet, Bernardo Bertolucci, Carmelo Bene, Federico Fellini e altri grandi autori, in un dialogo serrato e geniale tra cinema e vita,
passato e presente, immagini, parole e suoni. Un’autentica ed immersiva esperienza audio-visiva.
Il panorama delle vicende umane incontra l’uomo con la macchina da presa. Il suo campo da gioco non ha confini, la sua curiosità non ha misura. Personaggi, situazioni e luoghi si accampano nel vissuto di un’umanità̀ che è al contempo colei che vede e la cosa vista. Ma cosa sono gli ultimi giorni di questa umanità? Sono già trascorsi? Sono adesso o da venire? Nell’attesa gli astronauti dell’Atalante, nei loro sogni prometeici, incontrano la propria immagine in una bolla d’acqua. Lungo i tragitti dei piroscafi a mare aperto, una carezza, un affetto. Allo specchio, camera in mano, si verifica, certo sempre incertamente, la propria cattura dentro quella corta, troppo corta, unità di tempo. Ma quello che abbiamo imparato è che non c’è una durata. Tutto quello che toccano diventa tempo, diventa azione, attesa e speranza, ricorda Demetra all’umano affaccendarsi. Frammento di frammenti. Per compiere un gesto che sfugga la malinconia e la giochi in un movimento addirittura impossibile. Il teatro di Marte di Kraus non ha ancora aperto, eravamo occupati ad an-archiviare. E questo dramma non può avere altro spettatore che l’umanità.
«Nella prima pagina del diario di Franz Kafka, un appunto: “Gli spettatori impietriscono quando passa il treno”. Scorrono centinaia di ore di nastri. enrico ghezzi conversa con il filosofo Emanuele Severino: “Non si pensa adeguatamente la frattura vera che porta il cinema nella storia, quella che siamo abituati a pensare come storia dell’umanità. Il cinema è il primo momento in cui il mondo si rivede. Poi sappiamo che è finto, che è un trucco, che sono fotogrammi singoli, ma mentre la fotografia è un istante ghiacciato, col cinema rivediamo un cavallo, il mondo si rivede e questo di per sé è un avverarsi che non si pensa…”
Cut.
“Se i tuoi occhi ti offendono, strappali!”, ammonisce il predicatore.» (enrico ghezzi)
«È un progetto che ha attraversato numerosi fasi e versioni, quello de Gli ultimi giorni dell’umanità (l’abbiamo seguito da vicino), partendo da un esperimento interamente basato solo sull’archivio di ghezzi, riformulato secondo un complesso iter di montaggio (la “macchina che cattura l’eccedenza”). Il risultato finale ingloba invece fonti spurie, dalle più celebri ossessioni ghezziane come Corman o Peckinpah fino a un lungo estratto dallo spettacolo di Luca Ronconi che porta lo stesso nome del film: via via, diventa sempre più esplicito (come appunto nel monologo ronconiano) il tono apocalittico che già l’eruzione iniziale aveva annunciato – sono davvero gli ultimi giorni dell’umanità, e per terra è pieno di corone di fiori, le apparizioni dell’archivio familiare di ghezzi diventano sempre più sparute, fino a scomparire, sostituite da due brevi ritratti di enrico oggi. È come se in qualche maniera enrico ghezzi abbia finito così per diventare parte della materia stessa di queste immagini, nascosto in questi fotogrammi fino quasi a diventare pellerossa, già senza collo né testa di cavallo.» (Sergio Sozzo, sentieri selvaggi)