HEREDITARY

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HEREDITARY

un film di Ari Aster
con Toni Collette, Gabriel Byrne, Alex Wolff, Milly Shapiro
sceneggiatura: Ari Aster ● fotografia: Pawel Pogorzelski
montaggio: Lucian Johnston, Jennifer Lame ● musiche: Colin Stetson
produzione: A24
distribuzione: Lucky Red
Stati Uniti, 2018 ● 127 minuti

v.o. inglese e spagnolo con sottotitoli in italiano

Dopo aver diretto alcuni cortometraggi incentrarti su rituali e su traumi familiari, Ari Aster debutta alla regia di un lungometraggio e trasforma un dramma domestico in qualcosa di funesto e di profondamente inquietante, spingendo il genere horror su un nuovo terreno ancora più agghiacciante. Fondendo la sostanza di alcuni drammi emotivi feroci con l’ispirazione creativa di altri horror di culto degli anni ‘60 e ‘70 crea un grande film horror intimista che tiene incollati alla poltrona.

Quando l’anziana Ellen muore, i suoi familiari cominciano lentamente a scoprire una serie di segreti oscuri e terrificanti sulla loro famiglia che li obbligherà ad affrontare il tragico destino che sembrano aver ereditato.

«In famiglia la situazione era diventata davvero insostenibile, al punto che iniziammo a pensare di essere vittime di una maledizione. Quando si gira un film sulle ingiustizie della vita il genere horror è un terreno di gioco molto particolare. È una sorta di spazio perverso in cui le ingiustizie della vita vengono celebrate se non addirittura glorificate. È un film sulla nostra discendenza e sull’impossibilità di scegliere la nostra famiglia o quello che c’è nel nostro sangue. Racconta l’orrore dell’essere nati in un contesto sul quale non si ha il controllo. Non c’è niente di più inquietante, secondo me, dell’idea di non avere alcun potere» (Ari Aster)

«Dopo l’acclamata anteprima in occasione del Sundance, in molti lo hanno salutato come l’horror rivelazione del 2018. E, in effetti, Hereditary, opera prima del regista Ari Aster, è uno di quei film destinati a non passare inosservati. (…) Hereditary è un gioco di scatole cinesi, dove nulla è ciò che appare. (…) Lo studio e l’analisi psicologica del nucleo famigliare su cui si basa il film di Aster sono tematiche già affrontate nei suoi precedenti cortometraggi (Munchausen e The Strange Thing About the Johnsons), dove il regista si concentrava sull’elaborazione dei traumi; nasce così, attingendo da queste basi, il suo esordio cinematografico. (…) è un film che fa paura, che atterrisce e mette a disagio non solo per i contenuti, ma anche per la forma, per un modello stilistico (…). Il film si apre con un lento carrello in avanti. La camera che si avvicina alla sezione di una casa in miniatura fino a inquadrare una delle stanze. E in quella stanza, d’improvviso, entra una persona. Ha così inizio un incubo come non l’abbiamo mai sognato.» (Manlio Gomarasca, nocturno.it)