
LA MAMAN ET LA PUTAIN
un film di Jean Eustache
con Bernadette Lafont, Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun, Isabelle Weingarten
sceneggiatura: Irène Lhomme ● fotografia: Pierre Lhomme
montaggio: Jean Eustache, Denise de Casabianca
produzione: Elite Films
distribuzione: I wonder Pictures
Francia, 1973 ● 220 minuti
v.o. francese con sottotitoli in italiano
1973 Festival di Cannes: Grand Prix speciale della giuria

febbrile e fluviale trasposizione di un esperienza autobiografica, La mamain et la putain compie cinquant’anni e ci colpisce ancora come fece al suo debutto al festival di Cannes: se all’epoca a scandalizzare fu l’esposizione senza filtri di un triangolo amoroso libero ed inquieto, immutata è oggi la sua modernità, la forza dirompente del suo rigore stilistico e la necessità umana che lo anima. “un film per reinventare l’amore”.
10:30
18:00
Alexandre è un giovane e pigro disoccupato francese che trascorre le sue giornate sorseggiando caffè a Saint-Germain-des-Prés. Alexandre non ha problemi a farsi mantenere dalla più matura Marie, che ha una piccola boutique, con cui intrattiene una relazione di tipo aperto. Un giorno il giovane incontra un’infermiera, Véronika, giovane e squattrinata come lui. E, nonostante la ragazza sia inizialmente po’ interdetta dal comportamento per nulla passionale di Alexandre, i due finiscono per innamorarsi e fare l’amore durante un’assenza di Marie. Fra i tre presto si innesca un pericoloso e complesso rapporto, che oscilla tra la tenerezza, la gelosia e la disperazione.
«Prima di questo lungometraggio, la mia situazione era complicata. I miei film piacevano a tutti, le recensioni erano buone e nessuna delle mie pellicole era andata in perdita. Tuttavia, nessuno voleva finanziare i miei nuovi progetti. Gli unici fondi che avevo, li ricevevo da Godard, a riprese avanzate, e dalla ORTF, la TV di Stato, ma solo per i documentari, un genere non controverso, e dopo non poche trattative. Questa situazione contraddittoria mi faceva infuriare e ho deciso di dirottare quella rabbia nella scrittura dei dialoghi de La maman et la putain. Ogni giorno accumulavo talmente tanti dialoghi, o meglio brevi monologhi, che avrebbero formato la base di un film colossale da 5-6 ore. E sempre quella stessa rabbia emerge nel fatto che il protagonista va contro ogni cosa, opinione e pensiero del tempo. Un approccio curioso ma vincente, credo. Indipendentemente dalla correttezza di ciò che dice, ciò che conta è che la creatività del personaggio, o dello scrittore, forse, si opponga a tutto sistematicamente. Nel mentre, come in tutti i paradossi, viene a galla un elemento di verità. E questo eccesso trasporta lo spettatore in un ambiente chiuso, unico del protagonista e simile a un’allucinazione, ovvero non paragonabile a ciò che si vede abitualmente. (…) Questo è l’unico dei miei film che so odiare, perché continua a mettermi davanti il me stesso di oggi senza la protezione del passato, parte integrante, invece, dei miei altri film.» (Jean Eustache)
«Eustache è un poeta del quotidiano, che si chiude nella propria casa e nella propria storia, ricacciando indietro il “collettivo” a favore di un privato che è da analizzare perché in esso si può trovare il senso di un mondo, di un microcosmo, forse di una generazione. Non è casuale che parte consistente della critica francese sia rimasta interdetta di fronte a La maman et la putain. Non è casuale perché nelle oltre tre ore e mezza nelle quali si articola il film si vive la vera e propria messa in crisi della borghesia bohémien, delle sue illusioni, delle sue radicate certezze, ma soprattutto delle sue inveterate ipocrisie. Già il titolo, che mette in congiunzione la dicotomia con cui il maschio giudica l’universo femminile (la “mamma” e la “puttana”), la dice lunga sull’approccio che Eustache metterà in pratica nel corso del film: La maman et la putain parla del ménage sentimentale, ne squaderna utopie e retroguardie, osserva i suoi personaggi aderendovi solo occasionalmente. Il suo è un viaggio nel fallimento del Sessantotto, delle sue revisioni della prassi, pittate troppo tenui per modificare davvero l’immagine della struttura complessiva.» (Raffaele Meale, Quinlan.it)