
Queer
un film di Luca Guadagnino
con Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman, Lesley Manville, Michael Borremans
Andra Ursuta, David Lowery, Omar Apollo
sceneggiatura: Justin Kuritzkes ● fotografia: Sayombhu Mukdeeprom
montaggio: Marco Costa ● musiche: Trent Reznor, Atticus Ross
produzione: The Apartment
distribuzione: Lucky Red
Italia, Stati Uniti, 2024 ● 137 minuti
v.o. inglese, spagnolo, francese con sottotitoli in italiano
2024, Mostra del cinema di Venezia: in concorso

Luca Guadagnino torna al cinema con un racconto tratta dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs, una storia d’amore tenera e brutale nella quale il regista riversa la propria visione artistica creando uno dei suoi film più personali.
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È il 1950. William Lee è un americano sulla soglia dei quaranta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. L’incontro con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, lo illude per la prima volta della possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno.
«Ho letto il libro a 17 anni. Da ragazzo volevo cambiare il mondo attraverso il cinema. Il collegamento molto profondo che c’è tra i due personaggi, la descrizione su pagina di quello che c’è tra loro, l’assenza di giudizio: tutto questo mi ha cambiato per sempre. Il film Queer ora è qui perché voglio essere fedele a quel giovane che ero e che ha sempre pensato di voler portare il romanzo sul grande schermo» (Luca Guadagnino)
«Queer è il racconto di un viaggio al termine della notte, e dunque al termine di sé stessi, dove nessuno vuole/può arrivare. Ma Lee sì, sa che è lì che deve mirare, per questo non è come gli altri. È un viaggio allucinato, disperato, ma anche vitale, lussurioso come i corpi e le piante, goduriosissimo a vedersi. (…) Città del Messico è stata ricreata a Cinecittà, ed è un set meraviglioso come quelli dei film anni ’40-50, dal Tesoro della Sierra Madre all’Infernale Quinlan, a cui Queer rimanda per gusto per l’esotismo e uso del divismo. (…) E poi – dicevo del divismo – c’è Daniel Craig. Dal James Bond tra los muertos di Mexico City al morto che adesso è lui nella stessa città appiccicosa, in quelle stanze d’albergo tra Professione: reporter, e Il tè nel deserto, e inevitabilmente Il pasto nudo. Qui il reporter è lui, ma, dicevo, l’indagine è solo su sé stesso. Cerca – nella dipendenza dalle droghe, nel sesso – la chiave per capire, per capirsi. Sogna di trovare il suo tesoro sepolto nella giungla, la droga miracolosa che attiva la telepatia: ma solo per riuscire parlare con i suoi fantasmi, con l’oscuro, con l’immateriale. E difatti, alla fine, questo film di corpi, di seduzione, di pelle e di sudore finisce per smaterializzare tutto fino al niente, fino al tutto.» (Mattia Carzaniga, rollingstone.it)