roma città aperta

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roma città aperta

un film di Roberto Rossellini
con Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Maria Michi, Marcello Pagliero
fotografia: Ubaldo Arata  ● montaggio: Erando Da Roma, Jolanda Benvenuti
sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini
musiche: Renzo Rossellini ● produzione: Exceclsa Film
distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Italia, 1945 ● 103 minuti

v.o.  italiano

Cannes Film Festival, 1946: Gran Premio del Festival
Oscar, 1947: nomination miglior sceneggiatura ● Vincitore 2 Nastri d’argento

Per festeggiare il 25 aprile, torna al cinema beltrade un capolavoro assoluto del neorealismo italiano

Durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, la polizia tedesca è sulle tracce di un ingegnere che è a capo di un movimento della resistenza. Il giovanotto sfuggito in tempo alla perquisizione nel suo appartamento, trova rifugio nella casa di un parroco della periferia, benemerito della lotta contro l’oppressore. Ma la delazione di un’attricetta che ebbe una relazione con l’ingegnere, attratta dal miraggio di lauti guadagni, porta all’arresto dell’ingegnere e del parroco. Sottoposti a crudeli sevizie perché rivelino i nomi dei loro compagni, i due resistono eroicamente e, mentre il giovane perde la vita sotto i ferri di tortura, il prete, contro il quale si sfoga inutilmente la bestiale ira dei poliziotti, viene condannato alla fucilazione.

«Per poterlo realizzare ho usato mille espedienti: rubavamo la luce alla Sala Corse di via Avignonesi. La pellicola negativa non esisteva, comperavamo spezzoni da venti, trenta metri dagli scattini, i fotografi ambulanti. Ubaldo Arata, l’operatore, fece miracoli, le riprese le realizzammo un po’ con il negativo e un po’ con la pellicola positiva. Marcello Pagliero, il protagonista, era mio compagno di scuola, Anna Magnani aveva alle spalle soltanto una particina in un filmetto di De Sica, una sciantosa invadente e crudele. Ho fatto sei milioni di debiti, che mi sono portato dietro per la vita. Quando uscì, le recensioni furono tremende: “Bruttissimo, banalissimo”, “Questo cretino che confonde la cronaca con l’arte”. Sono stato sempre coperto d’insulti. I critici hanno il loro schema, se lo sono fabbricato amorevolmente, guai se esci fuori. (…) Sono perfettamente cosciente che la mia indipendenza rompe le scatole a tutti. Sono anche rispettato da un sacco di persone, odiato da altri. (…) Ho conosciuto Fellini all’epoca del film, collaborò alla sceneggiatura. Fu un rapporto molto fecondo, chiacchieravamo all’infinito. (…) Un soldato americano, in un bar di via Frattina, comperò la pellicola senza contratto, per 28 mila dollari. La programmarono in una piccola sala di New York per 38 mesi di fila. Ingrid Bergman la vide lì.  (…) La speranza era quella di far diventare il cinematografo uno strumento utile. Con Roma città aperta ho innovato tanto. Allora era impensabile girare in ambiente vero e non ricostruito in un teatro di posa, che era il luogo in cui si celebrava il grande rito del cinema; la strada, quella vera, era completamente sconosciuta al cinema di allora. Volevo fare un cinematografo accessibile a tutti: uscire dalla produzione industriale, con tutte le schiavitù che comportava. Abbiamo fallito. Di questo modo di fare cinema se ne sono appropriati gli stessi industriali che pensano solo all’incasso. Cinema utile lo intendo sul piano sociale, educativo, sul piano dell’insegnamento del vivere civile. Dobbiamo ammetterlo: il cinematografo non è diventato affatto utile, salvo qualche raro caso perché fatto da persone serie. (…) Nel ’47 mi hanno chiamato per ritirarmi il passaporto, perché ero l’autore di Roma città aperta e di Paisà, sostenevano che i panni sporchi si lavano in casa. Lavorare con dignità ha un prezzo altissimo, non ho mai avuto un momento di tregua. Ma sono riuscito a non essere vendicativo. Rifarei tutto.» (Roberto Rossellini)