SELFIE
un film di Agostino Ferrente
con Alessandro Antonelli, Pietro Orlando
sceneggiatura: Agostino Ferrente
fotografia: Alessandro Antonelli, Pietro Orlando
montaggio: Letizia Caudullo, Chiara Russo
musiche: Andrea “Fish” Pesce, Cristiano Defabriitis
produzione: Arte France e Magneto, Casa delle Visioni e Rai Cinema
distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Francia, Italia, 2019 ● 78 minuti
v.o. italiano, napoletano con sottotitoli in italiano
69° Berlinale: Panorama Concorso
Un ritratto di due sedicenni, Alessandro e Pietro, del rione Traiano di Napoli, liberato dagli stereotipi. Due amici e un film tutto girato in “video-selfie” che racconta un mondo in cui non diventare camorrista può essere una scelta.
sabato 7 settembre inizia al Beltrade un nuovo ciclo di appuntamenti con una proiezione di SELFIE alla presenza di Agostino Ferrente (inizio proiezione ore 21.40) e un incontro tra il regista e il pubblico la mattina di domenica 8 settembre (ore 11.00), con la moderazione di Giulio Sangiorgio e Matteo Marelli, seguito dalla proiezione di LE COSE BELLE.
“Film parlato e altri racconti” è un progetto che ufficializza una collaborazione già in atto, quella tra Cinema Beltrade e Film Tv/Film Tv Lab, realtà che, ciascuna a proprio modo, si impegnano a cercare nuovi modi di mostrare, raccontare e far parlare il cinema. Un incrocio di sguardi e di punti di vista (quelli del pubblico, i nostri e quelli degli autori ospiti).
Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore, colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante. Davide non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia. Come tanti adolescenti, cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore. Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro, separati da Viale Traiano, dove fu ucciso Davide.
«Avevo giurato a me stesso di non fare più documentari: non riesco a non intervenire sulla realtà che racconto, ho il bisogno di entrarci e quasi di «ripararla». Cerco di tirare fuori il bello dei personaggi, di aiutarli a mostrarsi nella loro potenziale bellezza. Insomma creo una relazione profonda e divento parte di ciò che racconto. E questo alla fine è doloroso. Poi ho letto la storia di Davide Bifolco, e ho provato un grande senso di ingiustizia. Così quando mi è stato proposto di girare un altro documentario ho accettato a patto che me lo facessero fare come dicevo io: da tempo ero interessato all’autorappresentazione,che poi negli anni è esplosa.» (Agostino Ferrente)
«L’idea di Ferrente è semplice e è chiara: provare a ribaltare il modo di raccontare e indagare la vita in queste zone braccate dalla malavita e dalla marginalità ribaltando il punto di vista come ogni smartphone che chiunque ha in mano consente di fare con un semplice tocco di polpastrello. Girare la modalità di ripresa della camera che si ha costantemente in tasca vuol dire provare a raccontare il mondo in cui si vive mostrandolo in prima persona, non in soggettiva ma mettendosi in scena. Vuol dire cioè provare a mostrarsi dentro il proprio mondo. L’assunto è semplice ma tutt’altro che banale. Ai ragazzi viene infatti affidato il mezzo ma non la responsabilità autoriale che il regista – guidandoli, stimolandoli, incuriosendoli – tiene salda nelle sue mani.» (Chiara Borroni, cineforum.it)