
The elephant man
un film di David Lynch
con Anthony Hopkins, John Hurt, Anne Bancroft, John Gielgud, Wendy Hiller,
Freddie Jones, Michael Elphick, Hannah Gordon, Helen Ryan, John Standing
sceneggiatura: Christopher De Vore, Eric Bergren, David Lynch
fotografia: Freddie Francis ● montaggio: Anne V. Coates
musiche: John Morris
produzione: Brooksfilms
distribuzione: Lucky Red, con Cineteca di Bologna
Stati Uniti, 1980 ● 124 minuti
v.o. inglese con sottotitoli in italiano
Bafta, 1981: miglior attore, miglior film, miglior scenografia
Premio César, 1982: miglior film straniero

Torna in sala la storia di John Merrick. Un film epocale che ha cambiato le regole dell’horror, invertendo le dinamiche tra ‘mostro’ e spettatore: chi ha paura di chi? Un’attualissima riflessione sullo sguardo, sul rifiuto del diverso e sull’orrore, messa in scena da uno dei registi più visionari della storia del cinema.
21:40
19:20
Londra, 1884. John Merrick è un’attrazione da circo, che si esibisce sotto il nome di “The Elephant Man” ai servizi del meschino Mr. Bytes: la terribile forma di neurofibromatosi che gli ha deformato il volto lo rende infatti ripugnante alla vista. Un giorno l’ambizioso dottor Frederick Treves assiste allo spettacolo di Bytes e interviene per trasferire John in ospedale ed esporre a un consesso di medici la particolare forma di malattia che lo colpisce. Quando scopre che Merrick non solo è in grado di leggere, ma è un uomo colto, gentile e raffinato, lo trasforma gradualmente in un protagonista della buona società della Londra vittoriana.
«Rispetto a Eraserhead, The Elephant Man (1980) costituisce un cambiamento di scala alquanto sorprendente. Lynch passa da un’opera quasi sperimentale, dominata da un’originalità radicale e spesso disturbante, a un film di stampo hollywoodiano, con un budget abbastanza confortante e una narrazione nettamente più classica. Eppure il cineasta riesce comunque a cavarsela brillantemente, rivelando un’altra sfaccettatura della sua personalità, e cioè il gusto per il melodramma e la capacità di commuovere lo spettatore senza per questo tradire gli elementi che stanno alla base della sua originalità. Ciò che colpisce nella storia di questo “uomo-elefante”, creatura ibrida che cerca di riconquistare la sua parte di umanità, sono in primo luogo, come in Eraserhead e nella maggior parte dei film di Lynch, le atmosfere, gli stati d’animo, l’ambientazione. Un bianco e nero tutto giocato sui contrasti e piuttosto metallico, (…) l’influenza gotica dei film della Hammer – la società di produzione inglese che negli anni ’50 rivoluzionò l’estetica del cinema dell’orrore -, il clima della rivoluzione industriale con le officine, le ciminiere fumanti, le foschie, il carbone, di cui John Merrick, l’uomo-elefante, rappresenta l’impensato, il rimosso, la parte maledetta e sotterranea, senza dimenticare l’atmosfera vittoriana, ricreata con estrema precisione: tutto contribuisce ad ancorare The Elephant Man nella storia della città e delle forme, senza che David Lynch perda in questo contesto la sua libertà creativa.» (Thierry Jousse, Cahiers du cinéma, 2010)