The performance

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The performance

un film di Caterina Clerici e Alfredo Chiarappa
sceneggiatura: Alfredo Chiarappa, Caterina Clerici ● fotografia: Alfredo Chiarappa
montaggio: Francesco De Matteis ● musiche: Julien Valette
produzione: Kinobrigante, Piroetta
distribuzione: Kinobrigante
Italia, Stati Uniti, 2022 ● 70 minuti

v.o. inglese con sottotitoli in italiano

proiezione speciale.
in sala gli autori Caterina Clerici e Alfredo Chiarappa

The Performance è il ritratto provocatorio di un uomo deciso a fare tutto il possibile per perseguire la sua fama artistica. Una storia di immigrazione che non ha nulla a che fare con la redenzione. Si tratta di un vero e proprio Accattone pasoliniano in una New York allucinante e deserta, e di un cortocircuito nel sogno americano. è un documentario di osservazione caleidoscopico — una favola allucinatoria su New York, una commedia romantica femminista, un dramma di danza, un’epopea di immigrazione con un antieroe.

Un ballerino dai penetranti occhi azzurri e una storia irresistibile: dopo aver imparato a ballare la breakdance da bambino in Iraq imitando un soldato americano, si è trasferito a New York per diventare il prossimo volto della danza contemporanea. Alla ricerca di rilevanza, cerca goffamente di piegare a suo favore l’attuale dibattito sulla diversità e l’inclusione nelle arti, ma se ne ritrova presto sfruttato. Il suo reale talento sta però nel saltare di letto in letto, di bugia in bugia, senza smettere mai di fingere: e se, per lui, fosse quello il vero sogno americano?

«“The Performance” è un ritratto intimo e provocatorio di un uomo disposto a qualsiasi cosa per perseguire il suo sogno artistico in America. Occhi azzurri e una storia perfetta da raccontare sul proprio esordio nella danza, compiutosi imitando una mossa di breakdance di un militare statunitense, quando era ancora bambino nel Kurdistan iracheno. Ora adulto a New York, Hussein sembra sul punto di sfondare: la sua prima coreografa ottiene recensioni stellari e gli procura potenziali investitori interessati a finanziare il tour in Kurdistan della sua compagnia di danza, perché insegni ai suoi connazionali come superare il trauma della guerra attraverso il movimento — un’idea perfezionata per compiacere i molti che lo etichettano come un “ballerino contro l’islamofobia”. Il modo in cui Hussein vede se stesso, tuttavia, è come uno degli orologi Rolex che ammira sorridendo dall’altra parte della vetrina verso la fine del film: un bellissimo investimento. La sua valuta e il suo linguaggio sono il suo corpo – come ballerino, come amante – e il suo palcoscenico è la città. Nell’era della gloria istantanea dei social media, perché non dovrebbe meritarsela anche lui? Nel disperato tentativo di diventare famoso, cerca goffamente di sfruttare a suo favore l’attuale dibattito sulla diversità e l’inclusione nel mondo artistico americano, ma fnisce per esserne sfruttato e diventare l’antitesi del “buon immigrato”. Si perde nella vita, di letto in letto, di bugia in bugia, riuscendo però a mantenere la sua storia intatta abbastanza da farsi ancora credere, perlomeno dalla litania di donne da cui dipende e che usa. La sua “Call to Prayer” (la chiamata alla preghiera musulmana che dà il nome alla sua coreografa) è in realtà la preghiera di farcela in America – o forse di continuare a inseguire il suo sogno, più che raggiungerlo.» (Caterina Clerici e Alfredo Chiarappa)