They

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They

un film di Anahita Ghazvinizadeh
con Rhys Fehrenbacher, Koohyar Hosseini, Nicole Coffineau
sceneggiatura: Anahita Ghazvinizadeh ● fotografia: Carolina Costa
montaggio: Anahita Ghazvinizadeh, Dean Gonzalez ● musiche: Vincent Gillioz
produzione: Mass Ornament Films
distribuzione: Lab 80 film
Stati Uniti, Qatar, 2017 ● 80  minuti

v.o. inglese, farsi  con sottotitoli in italiano

Festival di Cannes 2017

Giovedì 17 maggio collegamento skype con la regista Anahita Ghazvinizadeh
e ospite in sala il curatore di Gender Bender International Festival, Marcello Seregni

Intensa e delicata storia sulla ricerca della propria identità: l’adolescenza e il percorso di autodeterminazione di un quattordicenne a Chicago

J ha quattordici anni. J vuole essere chiamato, o chiamata, con il pronome «they». «They» vuol dire «loro». Vive con i genitori nella periferia di Chicago e sta esplorando la sua identità di genere, sta prendendo tempo per scegliere chi vuole essere, mentre segue una terapia ormonale per ritardare la pubertà. Dopo due anni di terapia, deve decidere se effettuare o no la transizione, scegliere se essere uomo o donna. Durante il week-end decisivo, mentre i genitori sono in viaggio, la sorella di J e il suo ragazzo iraniano arrivano per prendersene cura.

«Ho lavorato a diversi cortometraggi che avevano i bambini come protagonisti e penso che, gradualmente, mi sono resa conto di essere davvero interessata a questi temi: in particolare al periodo della pre-pubertà, quando un bambino non è ancora diventato adulto e comincia a porsi degli interrogativi. Facendo poi maggiori ricerche, sono venuta a conoscenza del blocco della pubertà (un trattamento ormonale che permette ai bambini di arrestare la pubertà) e ho capito che, in base all’esperienza avuta lavorando ai miei cortometraggi, avrei potuto fare un film proprio su quel periodo di sospensione. In quel momento anch’io stavo sperimentando una forma di sospensione, anche se molto diversa: riguardava la mia migrazione e il mio lavoro di artista. Stavo cercando di chiarire quale era il luogo in cui avrei vissuto, non sapevo se sarei rimasta negli Stati Uniti o se sarei tornata in Iran e sentivo la necessità di posticipare la scelta. Si prova così tanta ansia quando si sente di non appartenere davvero a nessun luogo.» (Anahita Ghazvinizadeh)

«Ma “They” non è un film sul genere, non è un film sulla sessualità “They”, è un film sulla complessità. Una complessità di pensiero, che nello specifico è impersonato da J; tutto quello che ha intorno riverbera il suo stato d’animo, è simbolo, metafora in accumulo. E in parallelo c’è un mondo aggrovigliato e vivo, fatto di perenni passaggi, cambiamenti: gli iraniani Farsi (che però parlano di Kurdistan), il matrimonio (che è per ottenere i documenti americani), i genitori assenti (che però accudiscono una zia malata), la zia allontanata (che però ha dimenticato la strada per tornare a casa). E un buco nel muro, trapasso fra due luoghi. Come se ogni elemento del film fosse un tassello di un mosaico. (…) Non è al minimalismo che punta la regista, ma anzi paradossalmente raggiunge l’obiettivo di trattare i cosiddetti massimi sistemi, giocando fra la sintesi formale e argomenti così complessi. Cercando di dare ad ogni singolo aspetto un peso, in modo che l’equilibrio sia rispettato. E allora ci si avvicina con amore ai gesti quotidiani di J, e alla sua compostezza. Al mondo che lo circonda (per una volta non si parla di bullismo o di violenza, qui sono in gioco cose più “alte”) che lo tratta con rispetto e lo guarda incuriosito. Ci perdiamo nei lavori quotidiani nella serra, del gatto che va e viene, delle poesie imparate a memoria. Tutto ciò che è rappresentato nel film va visto come fossero i cerchi concentrici che increspano l’acqua di un lago in cui s’è lanciato un sasso: c’è un centro e tutto quello che si allontana deriva da quel punto. J ha un corpo di ragazzino, ma un universo infinito nella testa.» (Alessandro Viale, ondacinema.it)