VERMIGLIO

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VERMIGLIO

un film di Maura Delpero
con Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Roberta Rovelli,
Martina Scrinzi, Orietta Notari, Carlotta Gamba
sceneggiatura: Maura Delpero ● fotografia: Mikhail Krichman
montaggio: Luca Mattei ● musiche: Matteo Franceschini
produzione: Cinedora
distribuzione: Lucky Red
Italia, Francia, belgio ● 119 minuti

v.o. dialetto con sottotitoli in italiano

2024 Mostra del cinema di Venezia: Gran premio della giuria

Austero e poetico, Vermiglio racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, per un paradosso del destino, essa perda la pace nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria; un’opera delicata e matura in cui la regista “attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva.”

venerdì 27 Settembre
15:00

sabato 28 Settembre
16:00

sabato 28 Settembre
20:20

domenica 29 Settembre
18:30

lunedì 30 Settembre
21:30

martedì 1 Ottobre
19:40

Lucia, Ada e Flavia sono le tre figlie femmine della famiglia Graziadei che ha contato dieci nascite, non tutte purtroppo andate a buon fine, come succedeva nell’Italia rurale all’epoca della Seconda Guerra Mondiale. I Graziadei vivono nella frazione trentina di Vermiglio, in una casetta in mezzo ai campi e alla neve dei lunghi inverni di montagna. Il capofamiglia è un maestro elementare che si sforza di insegnare ai suoi studenti non solo ad esprimersi in un italiano corretto invece del dialetto che tutti (compresi i Graziadei) parlano a casa, ma anche ad aspirare a qualcosa di più bello e più alto della fatica quotidiana. Quando i Graziadei ospitano un soldato siciliano che ha disertato l’esercito si innesca una reazione a catena che l’unità famigliare dovrà gestire, e che si svilupperà lungo le quattro stagioni dell’ultimo anno di guerra.

«Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate. Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande famiglia. Una storia di bambini e di adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un paesaggio dell’anima, un “lessico famigliare” che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese.» (Maura Delpero)

«È un film affascinate e ipnotico Vermiglio, costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso in fuori campo (come per il destino di morte di Pietro) lasciando a noi spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento. (…) L’archivio di forme e il registro metaforico di autori come Pietrangeli, Olmi o Pasolini è in più occasioni evocato e rimodellato ma mai sterilmente serigrafato. Così come il confine tra pratiche del documentario e spinte finzionali viene più volte valicato nel fertile lavoro antropologico su attori e luoghi. Un rigore formale che rende ancora una volta universale il tema della maternità tra dimensioni pubbliche e private, folklore e dolore. » (Pietro Masciullo, Sentieri Selvaggi)