
YUNAN
un film di Ameer Fakher Eldin
con Sibel Kekilli, Georges Khabbaz, Hanna Schygulla
sceneggiatura: meer Fakher Eldin ● fotografia: Ronald Plante
montaggio: Ameer Fakher Eldin ● musiche: Suad Bushnaq
produzione: Red Baloon Films
distribuzione: Fandango
Germania, Canada, Italia, Palestina, Giordania, Arabia Saudita, 2025 ● 124 minuti
v.o. arabo, tedesco con sottotitoli in italiano
2025 Berlinale FF: in concorso

Secondo capitolo di una trilogia legata al tema del dislocamento, il film di Ameer Fakher Eldin tradisce uno spirito poetico che avvolge lo spettatore e costruisce un percorso di dolente riflessione sui temi della memoria, i legami affettivi e la solitudine,
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Munir intraprende un viaggio verso un’isola remota per riflettere su una decisione cruciale, ma è tormentato da una misteriosa storia tramandatagli dalla madre. Nella tranquillità del suo rifugio isolato, incontra l’enigmatica Valeska e suo figlio Karl, giovane ruvido ma leale. Nonostante le poche parole, sono i semplici gesti di gentilezza a dissolvere pian piano la diffidenza, alleviando così l’angoscia di Munir e risvegliando in lui il desiderio di vivere.
«Tutto è cominciato dal tema del displacement (rimozione/trasferimento, n.d.r.) e quella costante ricerca della propria “casa”, il luogo di appartenenza. Vengo dalle Alture del Golan, un territorio siriano che è occupato da Israele dal 1967, quindi l’idea di “casa” per me (che è la Siria) rimane soltanto una fantasia. Ho iniziato ad esplorare questo concetto e ciò che è collegato ad esso, il perché abbiamo bisogno di una “casa”, come ciò ci impatta e come ci relazioniamo all’ambiente in cui ci troviamo. Il primo film della trilogia [The Stranger] riguardava lo straniamento di una persona tra i suoi simili che rifiuta di abbandonare il proprio territorio nonostante ci sia una crisi nazionale. Yunan, invece, rappresenta l’opposto, in questo caso si ha una persona costretta all’esilio, che non può tornare nella sua terra d’origine.» (Ameer Fakher Eldin)
«L’isolamento, l’alterità, l’incontro/scontro con una realtà tanto diversa dalla propria. Yunan non propone una meccanica riconciliazione con la vita, bensì si articola in un percorso impervio all’insegna dell’inquietudine, ben sottolineata dal vibrante commento musicale. Nei paesaggi dello hallig e nella loro precarietà Eldin raccoglie le pagine migliori del film, abbeverandosi alla potenza espressiva della natura come entità incostante che come tale ribolle di vita, all’esatto opposto dell’arrendevole rassegnazione alla quale è giunto Munir, prigioniero di una pressoché totale incomunicabilità.» (Massimiliano Schiavoni, Quinlan.it)