COLD WAR

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COLD WAR

un film di Pawel Pawlikowski
con Tomasz Kot, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Borys Szyc, Cédric Kahn,
Jeanne Balibar, Adam Woronowicz, Adam Ferency, Slavko Sobin
sceneggiatura: Pawel Pawlikowski ● fotografia: Lukasz Zal ● montaggio: Jaroslaw Kaminski
costumi: ALEKSANDRA STASZKO ● scenografia: KATARZYNA SOBAŃSKA, MARCEL SŁAWIŃSKI
suono: MACIEJ PAWLOWSKI, MIROSLAW MAKOWSKI
produzione: Apocalypso Pictures, BFI Film Fund, Film4
distribuzione: Lucky Red
Polonia, Francia, Gran Bretagna, 2018 ● 88 minuti

2018, Festival di Cannes: Miglior Regia ● Camerimage: Silver Frog a Lukasz Zal
European Film Awards: Miglior film, miglior regia, sceneggiatura, attrice, montaggio
Polish FF: Miglior film e Miglior montaggio

Cold War, miglior regia a Cannes, è il nuovo film del premio Oscar Pawel Pawlikowski.

Un amore tormentato, struggente e invincibile nell’Europa degli anni 50, tra giochi politici, spie, musica e scelte difficili.
regia, fotografia, montaggio e recitazione concorrono ciascuno per la sua parte a comporre un’opera di pura poesia, un viaggio sentimentale e romantico che lascia senza fiato

Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel ’52, nel corso di un’esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S’incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati, ancora innamorati. Ma la loro felicità è perennemente ostacolata da barriere: sociali, politiche o psicologiche.

«C’erano molti ostacoli all’epoca e quando ci si innamorava, bisognava superare tutti questi ostacoli. Per me è difficile raccontare una storia d’amore contemporanea, perché le persone sono molto distratte, ci sono troppi telefoni, immagini, inquinamento acustico. Non abbiamo più l’opportunità di guardare qualcuno negli occhi e innamorarci. Al tempo di Cold War, le cose erano più semplici, c’erano meno distrazioni. Le persone erano forse più profonde, erano obbligate perché c’era meno intrattenimento. Ovviamente non sono nostalgico dello stalinismo, ma all’epoca c’era una sorta di chiarezza, di semplicità. Ma la nostalgia non è il motore del film. È piuttosto una specie di viaggio sentimentale. Quando cerchi immagini e suoni, le idee escono sempre dal passato, dai ricordi.» (Pawel Pawlikowski)

«Di fatto è un racconto di formazione Cold War, in cui si segue l’amore tormentato di un uomo per la propria patria che, al pari di Zula, è “sì bella e perduta”, proprio come recita la celebre aria del Nabucco verdiano, adattabile perfettamente a ogni latitudine. Lavora tutto sulla “metafora”, concetto non a caso esplicitamente messo in luce in una scena chiave del film, Cold War, facendo del suo personaggio femminile l’incarnazione stessa della Polonia post-bellica: non solo “bella e perduta”, ma anche profondamente aggrappata alle proprie radici, viva, bramosa di sopravvivenza e mai dimentica della propria memoria, specie quella popolare. » (Daria Pomponio, quinlan.it)