
Dante
un film di Pupi Avati
con Alessandro Sperduti, Sergio Castellitto, Enrico Lo Verso, Alessandro Haber
sceneggiatura: Pupi Avati ● fotografia: Cesare Bastelli
montaggio: Ivan Zuccon ● musiche: Rocco de Rosa, Lucio Gregoretti
produzione: Duea Film, Rai cinema
distribuzione: 01 Distribution
Italia, 2022 ● 94 minuti
v.o. in italiano

Dopo vent’anni di tentativi Pupi Avati riesce a portare al cinema l’amato Dante, con passione ed energia così evidenti nei personaggi che racconta, da infondere al tutto vita e personalità. Tratto da un libro di Avati stesso, “L’alta fantasia: il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante”, che a sua volta è liberamente ispirato proprio al boccacciano “Trattatello in laude di Dante”. Un atto d’amore sviscerato che restituisce valore all’incanto della poesia dantesca, soprattutto i sonetti, contestualizzandoli nella perfetta ricostruzione di un mondo andato che ancora oggi ci forma.
Dante muore in esilio a Ravenna nel 1321. Settembre 1350. Giovanni Boccaccio viene incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice, figlia di Dante Alighieri, monaca a Ravenna nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi. Nel suo lungo viaggio Boccaccio oltre alla figlia incontrerà chi, negli ultimi anni dell’esilio ravennate, diede riparo e offrì accoglienza al sommo poeta e chi, al contrario, lo respinse e lo mise in fuga. Ripercorrendo da Firenze a Ravenna una parte di quello che fu il tragitto di Dante, sostando negli stessi conventi, negli stessi borghi, negli stessi castelli, nello spalancarsi delle stesse biblioteche, nelle domande che pone e nelle risposte che ottiene, Boccaccio ricostruisce la vicenda umana di Dante, fino a poterci narrare la sua intera storia.
«Nei miei tanti film ho raccontato quanto possa essere eccezionale, addirittura eroica, la normalità degli esseri umani. Ora invece ho cercato di dire che, per quanto sublime, il genio, condivide, come farebbe ognuno di noi, le angustie che ci riserva la vita. Poter narrare Dante Alighieri per la sua umanità , è stato quel dono che attendevo da vent’anni» (Pupi Avati)
«Un film appassionato e vitale, nel quale il sublime della poesia si mescola alla carnalità della vita medievale, e in cui Avati riversa, intrecciate in maniera sorprendente, le due anime del suo cinema. Il risultato è quello del ritratto dantesco che non ti aspetti.» (Federico Gironi, comingsoon.it)