È stata la mano di Dio

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È STATA LA MANO DI DIO

un film di Paolo Sorrentino
con Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri,
Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo, Betti Pedrazzi, Ciro Capano, Enzo Decaro,
sceneggiatura: Paolo Sorrentino ● fotografia: Daria D’Antonio
montaggio: Cristiano Travaglioli
produzione: The Apartment Pictures
distribuzione: Lucky Red
Italia, 2021 ● 130 minuti

v.o. italiano

2022, David di Donatello: miglior film, miglior regista, migliore attrice non protagonista,
migliore fotografia, David giovani
2021, Mostra internazionale d’arte cinematografica: Leone d’argento
Premio Marcello Mastroianni

Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia, È stata la mano di Dio è il film più intimo di Paolo Sorrentino, un “Amarcord” che diverte, omaggia i maestri e ricostruisce, con il consueto stile, la genesi artistica ed emotiva del regista

Fabio è uno dei tre figli di Saverio e Maria, coppia della buona borghesia napoletana, circondata da vicini, parenti e amici che condividono allegria e problemi famigliari. Adolescente incerto sul futuro dopo un diploma di maturità classica ancora da conquistare, Fabio è intimidito dalle donne e innamorato della zia Patrizia, di grande sensualità e di inquietanti allucinazioni. Intorno a lui ruota un caleidoscopio domestico fatto di scherzi materni e stoccate paterne, di un fratello che sogna il cinema e una sorella che vive chiusa in bagno, più i tanti personaggi che costituiscono un teatro partenopeo da far invidia ad Eduardo. Ma questo universo protettivo ed esilarante è destinato a scomparire all’improvviso, creando un vuoto che, forse, potrà essere anche fonte di una nuova libertà creativa.

«Per il mio modo di intendere l’inquadratura, Napoli è una città ostile perché caotica, non a caso ho girato due film in Svizzera. Ho avuto un’estetica quasi sempre legata all’ordine delle cose. Il Tevere della Grande bellezza l’ho filmato da sotto, senza macchine, nella dimensione arcaica, naturale, non c’è la civiltà. Quindi Napoli non è facile da filmare, però non mi importava che il film fosse bello o brutto esteticamente, ho girato nei posti che conoscevo da ragazzo e li ho resi tali e quali. Anche il luogo dove vivevo, una location che non avrei mai scelto per un altro film: è l’appartamento sotto la mia vera casa, al Vomero. Ci abitava una signora, morta da poco, quando ci sono entrato mi è preso un colpo: lo stesso citofono, gli stessi termosifoni di quando ero bambino, lo stesso tinello in cui mio padre cambiava il canale schiacciando con un bastone la tastiera del televisore dicendo: io sono comunista! Come se un comunista non potesse comprarsi la tv col telecomando» (Paolo Sorrentino)

«Subito dopo aver fatto spaziare lo sguardo sul golfo di Napoli, Sorrentino chiude lo spazio della sua ripresa e si blocca su un ingorgo che appare speculare e contrario alla scena d’apertura di 8 e mezzo di Federico Fellini. E proprio al regista di Rimini Sorrentino si accosta molto nel realizzare quello che è forse il suo capolavoro: l’inizio surreale, che gioca tra il sogno e la religione, sembra un omaggio apertissimo al regista de La dolce vita, che d’altra parte Sorrentino aveva già omaggiato anche in La Grande Bellezza. Ma non è tanto nelle immagini che Sorrentino si avvicina a Fellini: lo fa più che altro negli intenti, nel rincorrere quel senso onirico e suggestivo, dove il tempo smette di essere un comandante ferreo e dove ciò che è doloroso e spaventoso viene celato dietro maschere ridanciane, che appaiano a tratti inquietanti (…) Tutto il film è percorso da un sentimento di nostalgia struggente, di solitaria timidezza che circonda il protagonista Fabio e lo rende altro rispetto ai personaggi che gli si muovono vicino e che lo guardano con un misto di compassione e invidia» (Erika Pomella, lascimmiapensa.com)