
Holy Spider
regia di Ali Abbasi
con Zar Amir-Ebrahimi, Mehdi Bajestani, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad
sceneggiatura: Ali Abbasi, Afshin Kamran Bahrami ● fotografia: Nadim Carlsen
montaggio: Hayedeh Safiyari, Olivia Neergaard-Holm ● musiche: Martin Dirkov
produzione: Profile Pictures
distribuzione: Academy Two
Danimarca, Germania, Francia, Svezia, 2022 ● 115 minuti
v. doppiata in italiano
2022 Festival di Cannes: Premio migliore attrice a Zar Amir-Ebrahimi
Siamo a Mashhad, seconda città più grande dell’Iran e importante sito religioso. Nel 2000, un serial killer locale inizia a prendere di mira le prostitute per strada, strangolandone diciassette dopo averle attirate una ad una a casa sua. La stampa lo chiama “il ragno”, e tra i giornalisti che coprono il caso c’è Rahimi, una donna che viene da Teheran e si mette sulle tracce dell’assassino. L’uomo si rivelerà essere Saeed Hanaei, ex-militare convinto che Dio gli abbia affidato la missione di liberare la città dalle donne indegne che vendono il proprio corpo.
«Nel 2001 vivevo ancora in Iran ma mi stavo trasferendo in Europa per studiare. In quel periodo avevamo un presidente orientato verso le riforme Mohammad Khatami, un uomo che aveva aperto gli orizzonti politici e culturali e si respirava in Iran aria di speranza. Poi arrivò l’11 settembre e l’attentato alle torri gemelle e prima di allora ebbero luogo la serie di omicidi e l’arresto di Saeed. Questi eventi non erano correlati ma ci diedero il senso di una realtà ancora più paradossale della finzione, come se non fosse più possibile distinguere fra la realtà e i film di Hollywood. Quando ebbero inizio gli omicidi, l’anno precedente, la cosa non mi aveva interessato particolarmente perché in Iran gli omicidi seriali non sono insoliti. In Iran purtroppo la criminalità è piuttosto diffusa. Il mio interesse per questa storia ha avuto inizio quando le persone iniziarono a fare riferimento a Saeed come ad un eroe, quando iniziarono a dire che stava compiendo il suo dovere di persona devota uccidendo le prostitute di Mashhad. Nonostante questo individuo avesse assassinato tante donne la gente discuteva per decidere se avesse fatto qualcosa di sbagliato oppure no». (Ali Abbasi)
«Il film di Abbasi, si ispira a un fatto realmente accaduto, la storia del serial killer Saeed Hanaei (1962-2002), che tra il 2000 e il 2001 uccise 16 prostitute soffocandole a morte, con la missione di liberare le strade di Mashad dalla corruzione del sesso, accusando le donne di essere portatrici di un “virus” letale, insidioso e sporco, capace di portare alla perdizione i maschi del luogo e di rovinare le loro sacre famiglie. Abbasi, al suo terzo lungometraggio, dopo aver giocato con i generi con Shelley (2016) e Border (2018), affronta la tematica del femminicidio e della cultura machista islamica senza fronzoli e giri di parole, trasformando una trama convenzionale in un momento di riflessione unico, che colpisce dritto allo stomaco. Il suo film si serve di una fotografia lucida e materica, delle interpretazioni impeccabili di Bajestani e Zar Emir-Ebrahimi, e delle musiche angoscianti di Martin Dirkov, per immergerci nella vita corrotta e malata di Saeed, nel suo pensiero misogino, che rispecchia quello delle istituzioni e della gente comune, una società che giudica e condanna in nome del suo dio» (Simone Bisantino, nocturno.it)