IL MIO GIARDINO PERSIANO

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IL MIO GIARDINO PERSIANO
MY FAVOURITE CAKE

un film di Maryam Moghaddam, Behtash Sanaeeha
con Esmail Mehrabi, Lili Farhadpour, Mohammad Heidari
sceneggiatura: Behtash Sanaeeha, Maryam Moghaddam ● fotografia: Mohammad Haddadi
montaggio: Ata Mehrad, Behtash Sanaeeha, Ricardo Saraiva ● musiche: Henrik Nagy
produzione: FILMSAZAN JAVAN, CARACTERES PRODUCTIONS, HOBAB, WATCHMEN PRODUCTIONS
distribuzione: Academy Two
Iran, Francia, Svezia, Germania, 2024 ● 96 minuti

v. doppiata in italiano

2024, Berlinale: premio della giuria ecumenica, premio FIPRESCI

martedì 4 Marzo 17:00 ▪︎ Rho ▪︎︎ cin&città

martedì 4 Marzo 21:00 ▪︎ Rho ▪︎︎ cin&città

mercoledì 5 Marzo 21:00 ▪︎ Rho ▪︎︎ cin&città

giovedì 6 Marzo 21:00 ▪︎ Rho ▪︎︎ cin&città

lunedì 10 Marzo 17:00 ▪︎ Rho ▪︎︎ cin&città

Un pomeriggio, dopo un pranzo con le amiche, Mahin decide di rompere la sua routine solitaria e di riaprirsi all’amore. Un incontro inaspettato si trasformerà in una serata indimenticabile e il desiderio, almeno per una notte, avrà la meglio sulle regole della vita e sulle leggi del regime iraniano.

«Nei paesi mediorientali, governati da ideologie religiose, le donne vengono considerate cittadini di seconda classe. Vengono private di moltissimi diritti e possono rivendicare una loro identità solo attraverso gli uomini presenti nelle loro vite. Sfortunatamente, anche le donne iraniane rientrano in questa categoria di donne. Per anni, le donne iraniane hanno dovuto confrontarsi con leggi ingiuste come l’obbligo di indossare l’hijab e la mancanza di pari  diritti. Le relazioni con il sesso opposto vengono osservate al microscopio in tutte le situazioni. Queste condizioni diventano ancora più complesse quando una donna decide di vivere da sola, come nel caso della nostra protagonista, Mahin. In il mio giardino persiano focalizziamo la nostra attenzione sulla  figura delle donne, la solitudine, la vecchiaia e sull’assurdità della vita.» (Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha)

«Già nel loro film precedente, Ballad of a White Cow, Sanaeeha e Moghaddam, avevano del resto rappresentato il regime di Teheran come corrotto, incerto, impreparato di fronte ai propri errori, e raccontato l’esperienza quotidiana di una donna vittima di un potere indifferente. In Il mio giardino persiano il versante politico è più sfumato, ma allo stesso modo la messinscena sottolinea la chimera di una libertà irraggiungibile per il popolo iraniano. (…) Le immagini confezionate dai due registi sono precise, il più delle volte fisse, altre volte invece mosse da lenti movimenti di camera; la luce è netta; i contrasti tra l’oscurità e la luce non creano il dramma ma illustrano al contrario il sottile mutamento del rapporto d’amicizia e forse d’amore fra i due protagonisti. A un certo punto, nella storia di Mahin e Faramarz, ogni cosa sembra pure avere un proprio posto nel mondo, una sua giustezza che dà senso alle cose. La sceneggiatura è del resto ricca di eco interne, di rime fra scene e parole che rimandano all’idea del passaggio e del cambiamento: dalla morte alla vita, dal passato al presente, dal dentro al fuori, dal sopra al sotto la terra. Ed è proprio lì, nel gioco di contrasti e passaggi poi bruscamente interrotto, che si gioca il destino di Mahin. Un destino beffardo, ingiusto (…) che abbraccia in pieno la visione critica dei due registi: come a dire che in Iran, in questo Iran ottuso e forse decadente, non c’è redenzione per nessuno, nemmeno per chi prova a essere libero, felice e innamorato almeno per una sera.» (Roberto Manassero, mymovies.it)