
Non odiare
un film di Mauro Mancini
con Alessandro Gassmann, Sara Serraiocco, Luca Zunic, Lorenzo Buonora
sceneggiatura: Davide Lisino, Mauro Mancini ● fotografia: Mike Stern Sterzyński
montaggio: Paola Freddi ● musiche: Pivio, Aldo De Scalzi
produzione: Movimento Film e Rai Cinema
distribuzione: Notorius Pictures
Italia, 2020 ● 96 minuti
v.o. in italiano
Simone Segre è un chirurgo con una ferita aperta. Impossibile per lui ricucire. Da qualche parte nel suo background c’è un dolore che non passa e un padre ingombrante, sopravvissuto alla Shoah. L’omissione di soccorso alla vittima di un pirata della strada con la svastica tatuata sul petto, travolge la sua vita e lo conduce fino a Marica, una giovane donna, figlia della vittima. Per mettere a tacere il senso di colpa assume Marica come collaboratrice domestica e si scontra con suo fratello, giovane camerata che non vuole saperne di ebrei ed emigrati. Ma la vita fa giri imperscrutabili e li sposta dal loro centro.
«Non è vero che la storia si ripete – le condizioni non sono mai identiche – ciò che si ripete è l’esperienza del male e dell’odio. E a questi semi nocivi basta un po’ di vuoto per germogliare. Un vuoto di significato, di comunicazione, di memoria. Non odiare parla del fatto che l’odio produce onde che si protraggono nel tempo, lente, ma sempre implacabili e violente. Onde che investono inevitabilmente tutti, anche individui che nulla hanno a che fare con quel male originario e che ne hanno letto solo nei libri di storia. Un seme del male talmente profondo che ne basta la sola evocazione per attraversare il tempo e contagiare anche individui comuni, miti e onesti. E farli diventare, a loro volta, una sorta di nuovi carnefici.» (Mauro Mancini)
«Un assunto di questo genere potrebbe legittimamente far scattare in molti un allarme interiore; una preoccupazione per un possibile eccesso di retorica e di luoghi comuni. E fa piacere poter notare come invece Non odiare sia un film capace di fare, quasi sempre, le scelte giuste: quelle non scontate, quelle meno ovvie e “giornalistiche” e soprattutto di tenere per tutta la sua durata un tono narrativo sobrio e rigoroso, senza troppi fronzoli inutili, facendo implodere il film nei silenzi e nelle azioni, relegando la parola a un ruolo marginale e scartando buona parte delle trappole che una storia come questa presentava.» (Federico Gironi, comingsoon.it)