Tutti lo sanno

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Tutti lo sanno ● Todos lo saben

un film di Asghar Farhadi
con Penélope Cruz, Javier Bardem, Jaime Lorente, Ricardo Darín
sceneggiatura: Asghar Farhadi ● fotografia: José Luis Alcaine
montaggio: Hayedeh Safiyari ● musiche: Javier Limón
produzione: Memento Films Production
distribuzione: Lucky Red
Spagna, Francia, Italia, 2018 ● 132 minuti

v. doppiata in italiano

2018, Cannes ● Toronto IFF

Il regista iraniano cambia lingua, genere e attori ma rimane fedele al suo universo e ai suoi temi: il sospetto, la colpa, le crepe familiari. Mantenendo al centro il dilemma su cui sembra ruotare il cuore del suo cinema: qual è la verità?

In occasione del matrimonio della sorella, Laura torna con i figli nel proprio paese natale, nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.

«Quindici anni fa, sono stato nel sud della Spagna. Durante questo viaggio, in una città ho visto diverse foto di un bambino affisse ai muri. Quando ho chiesto chi fosse, ho saputo che era un bambino scomparso e che la sua famiglia lo stava cercando: lì è nata la prima idea del film. Quella storia mi è rimasta sempre impressa e quando ho finito di girare Il passato ne ho tratto un piccolo racconto. Ci ho messo quattro anni, poi, a svilupparlo e a trasformarlo in una sceneggiatura. Ma in realtà il progetto è nato all’epoca di quel viaggio in Spagna. Ad attrarmi sono state soprattutto due cose: il paesaggio e la cultura locale, e il fatto di cronaca al centro della storia. Da allora ho continuato a pensare alla Spagna.» (Asghar Farhadi)

«Il cinema di Asghar Farhadi ha sempre avuto nelle tematiche affrontate un respiro che travalicava i confini del proprio paese. Pur essendo legato alla sua cultura nazionale, ha rappresentato le dinamiche sociali dell’Iran contemporaneo nei suoi film con ossessioni ricorrenti: l’approfondimento della psicologia dei personaggi, la famiglia che diviene luogo di conflitto (…) dove la rottura del rapporto tra marito/moglie nel matrimonio, sia come istituzione sia come legame di anime, porta a drammi e tragedie sotterranee. (…) Non ha bisogno in questo caso di ambientare la storia in Iran, ma decide di traslarla in Andalusia (…). Così come ne “Il cliente” s’ispirava a “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, cita una serie di fonti cinematografiche occidentali che vanno da Alfred Hitchcock a Francis Ford Coppola (…) fino ad arrivare ad “Anatomia di un rapimento” di Akira Kurosawa (…). Ma, al di là del gioco citazionistico fine a se stesso, inserisce questo immaginario collettivo all’interno di una struttura filmica tipica del suo cinema: la sceneggiatura solidamente scritta nei minimi dettagli, il cesello psicologico dei personaggi, la grande bravura di direttore di attori (…). Farhadi si conferma un autore dal respiro internazionale, capace di affrontare nuovi generi (come il thriller) per parlare dei temi a lui cari, in un’opera (…) che riesce a mantenere la tensione drammaturgica per tutta la durata filmica (…) fino al finale (aperto), fatto di qualità visive, controllo della messa in scena e di una scrittura cinematografica con pochi eguali.» (Antonio Pettierre, Ondacinema.it)