Marina Valcarenghi tiene una lectio magistralis nel chiostro della Legnaia dell’Università degli Studi di Milano. La protagonista siede in cattedra, appare calma, la sua immagine è raccolta da tre angolazioni differenti e progressivamente l’obiettivo passa dal mezzo busto al suo sguardo. Gli unici elementi che entrano nella composizione sono fogli di carta con gli appunti, una bottiglia e un orologio da polso. In alcuni momenti, l’inquadratura si apre agli studenti che circondano la protagonista in un vero e proprio incontro generazionale.
La voce di Marina Valcarenghi, con le pause del suo discorso, scandisce il ritmo del film. Le sue parole ripercorrono stralci di testimonianze di uomini violenti, raccolte nei tribunali, nel corso di colloqui in carcere o durante le sedute presso il suo studio. Riflessioni sulle dinamiche relazionali degli ultimi trent’anni della storia italiana si mescolano a ricordi legati al lavoro di analisi, facendo emergere le paure della società legate alla dicotomia tra donna e uomo e lo sfociare di violenze private, fisiche e verbali.
Il titolo del film deriva proprio da alcuni passaggi del monologo e rappresenta un auspicio rivoluzionario: che un giorno “il popolo” femminile possa sentirsi parte di un’unica grande comunità, accomunata da istanze condivise e da battaglie da intraprendere in una dimensione collettiva.
UN FILM DI
YURI ANCARANI
PRESENTATO ALLA
XX EDIZIONE DELLE GIORNATE DEGLI AUTORI
IN OCCASIONE DELLA
80ª MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA
PRODOTTO DA
DUGONG FILMS
IN COLLABORAZIONE CON
PAC - PADIGLIONE D’ARTE CONTEMPORANEA ACACIA
ASSOCIAZIONE AMICI ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
UFFICIO STAMPA
PCM STUDIO SRLCR DI PAOLA MANFREDI
PRESS@PAOLAMANFREDI.COM
CAST
MARINA VALCARENGHI, LE STUDENTESSE E GLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
FOTOGRAFIA E MONTAGGIO
YURI ANCARANI
RIPRESE
YURI ANCARANI, THOMAS PILANI, GINEVRA GATTI, VALENTINA CHIARELLO CIARDO
MUSICHE
CATERINA BARBIERI
SOUND DESIGN
MIRKO FABBRI
PRODUTTORI
MARCO ALESSI, GIULIA ACHILLI, MARTA TAGLIAVIA
PROGETTO REALIZZATO IN OCCASIONE DELLA MOSTRA
“LASCIA STARE I SOGNI”
DISTRIBUZIONE ITALIANA
BARZ AND HIPPO
CONSULENZA PER LA COMUNICAZIONE
SARA SAGRATI
2023 | ITALIA | 65’ | COLOUR
Yuri Ancarani è un artista e regista di Ravenna. Il suo lavoro si muove con uno sguardo accurato e lucido tra videoarte e documentario. Il suo lungometraggio Atlantide, uscito nelle sale nel 2021, segue i percorsi del tempo libero di alcuni ragazzi e ragazze veneziani, evidenziando i cliché di genere nelle loro azioni e parole. Il film è stato selezionato nella sezione “Orizzonti” della 78a Mostra d’arte cinematografica di Venezia ed è stato finalista come miglior documentario ai David di Donatello. Il Popolo delle donne è stato presentato in una versione più breve al PAC di Milano, all’interno della personale Lascia stare i sogni, quindi nella versione cinematografica estesa a Venezia, Giornate degli Autori, nel 2023.
Il popolo delle donne è un documento importantissimo nell’Italia di oggi, una lezione che tutti dovrebbero vedere. Da dove è nata l’urgenza di girare questo film?
È nata perché viaggio molto per lavoro e vedo il mio Paese con altri occhi e con una distanza che ti porta ad essere più obiettivo. In Italia ci si lamenta di qualsiasi cosa, anche se poi dall’esterno non si sente. Però poi c’è un argomento particolare, quello della violenza di genere, che è un grosso problema e su cui invece non si dibatte. E mi ero detto che prima o poi ci avrei dovuto lavorare. Ogni tanto ci pensavo e realizzavo quanto fosse complicato, perché è un terreno pericoloso dove qualsiasi cosa metti sul tavolo poi viene smontata. Poi ho capito che non poteva essere un film tradizionale di finzione, perché dalle mie ricerche mi sono reso conto che tutti i film che contengono uno stupro, per quanto le registe o i registi possano essere attenti, comunque non fanno che amplificare la morbosità dello spettatore. Quindi è intrattenimento. E lo stupro non può essere trattato come intrattenimento.
Come è avvenuto l’incontro con Marina Valcarenghi?
Marina mi ha fatto da consulente sul set di Atlantide. In quel film ho lavorato non con attori professionisti, ma con ragazzi giovani, anche minorenni, che insieme possono diventare branco. Lei mi ha dato gli strumenti per capire certi comportamenti, a me come a loro. A questi ragazzi si è quindi arrivati a parlare di stupro e omicidio. E quindi avevo capito che era arrivato il momento di lavorare su questo tema dando spazio proprio a Marina e alla sua ricerca.
Il modo in cui riprendi questa lezione è molto interessante, l’utilizzo di diversi punti macchina danno la sensazione di essere in un’aula, anche se di rara bellezza. È un effetto semplice e immersivo.
Sì, è molto semplice perché l’esigenza era di mettere al centro Marina e fare in modo che lo spettatore si rendesse conto che lei sta parlando di cose che conosce bene. Quando oggi qualcuno si pone al centro di un prodotto audiovisivo, non è una persona che ti sta parlando di un argomento di cui è competente, ma semplicemente espone la sua opinione per avere riscontro, a qualsiasi costo. Questo è un grande problema, persone che parlano senza sapere cosa stiano dicendo è diventata la normalità. Quindi dovevo creare un plot audiovisivo che desse autorevolezza al personaggio, mentre parlava ti doveva guardare con questi occhi accesi, brillanti, pieni di vita. Per questo ho usato tre macchine per riprendere la lezione.
I co-protagonisti sono dei ragazzi, dei giovani: è la tua speranza per il futuro? Non tutto è perduto, abbiamo una generazione che può essere consapevole?
I giovani non sono il nostro futuro, sono assolutamente il presente, il mio interesse principale è per loro.
Come hai scelto la location? Mentre guardavo il film a un certo punto mi sono inconsapevolmente concentrato sui punti di fuga della prospettiva, mi sembrava di essere stato catapultato in un’opera rinascimentale.
Lavoro molto con sincronicità, coincidenze, intuizioni, quindi sembra che tutto nasca un po’ per caso. Ho chiesto a Marina dove voleva girare e lei mi ha detto che, se
avesse dovuto scegliere un posto, sarebbe stato il chiostro della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Milano, perché è un luogo che ha amato tantissimo e dove ha iniziato il percorso di militanza negli anni ’70. Quindi sono andato a fare un sopralluogo e mi sono accorto che il chiostro era occupato da un’associazione che si chiama Ecologia Politica. Quindi fanno ancora politica militante,
lo spazio è stato autorizzato agli studenti quando c’era la pandemia, le università erano chiuse, ma in questo modo i ragazzi potevano continuare a studiare all’aperto. Poi è piaciuto così tanto che è rimasto così. Quindi abbiamo deciso di girare all’interno di un luogo che ha un’energia forte che continua a mantenere nel tempo per parlare del popolo delle donne come movimento.
La tua attività artistica è poliedrica, ma il tuo interesse nei confronti di una forma più cinematografica di immagine in movimento è sempre più forte. Cosa ti sta dando in più fare del cinema?
Parto dal fatto che l’Italia è sempre stato un laboratorio
di idee. Da sempre. Da cui tutti hanno attinto. Sono state esportate, utilizzate da altri, quindi non dobbiamo dimenticarci di quello che secondo me gli italiani sanno fare al meglio, essere incredibilmente creativi. Quindi quello che sto continuando a fare è un po’ il contrario di quello che in verità succede, perché la maggior parte dei creativi italiani oggi sono molto conservatori, stanno sempre a guardare il passato, quello che si è già fatto. Supereremo anche questo momento brutto nel diritto della creatività, però io sento fortissimo il desiderio di sperimentare, anche stili di rappresentazione nuovi.
Il popolo delle donne e Atlantide sono due film che si integrano tra loro: è come se Il popolo delle donne fosse il corollario di Atlantide, lo si capisce molto bene da quello che insegna Marina, che non fa sconti, ma c’è un compatimento nei confronti degli uomini violenti. La domanda finale che ti faccio è questa: il dibattito attorno alla violenza sulle donne è sufficiente ed efficace oggi?
È un argomento di cui si parla tantissimo e molto male. E il modo di trattarlo che hanno i media italiani è terrificante, perché si dà spazio al punto di vista del marito della Meloni, Andrea Giambruno, che non è un professionista, ed è un uomo obiettivamente in crisi. Chi ha visto Il popolo delle donne sa che è un uomo in crisi per quello che dice. E comunque come se ne parla? Se ne parla il giorno della festa della donna, nella giornata contro la violenza sulle donne, dando loro spazio e lasciando loro il diritto di lamentarsi.
È un grosso problema, quindi era necessario che ci fosse una voce chiara, precisa, e Marina Valcarenghi è, in questo momento, la più esperta grazie alla ricerca di cui si è occupata per tutta la vita. È necessario ascoltare la sua bellissima lezione.
Alessandro De Simone,
7 Settembre 2023,
Rolling Stones
La riflessione sulla violenza attraversa tutte le stagioni della vita e dell’impegno di Marina
Valcarenghi. Figlia di Aldo, eroe della Resistenza deportato a Mauthausen e Gusen, si laurea in giurisprudenza e tra il 1960 e il 1980 partecipa attivamente alla vita politica italiana ed europea come militante, studiosa, scrittrice e giornalista. Sono gli anni in cui dirige il mensile “Re Nudo”, e scrive regolarmente su quotidiani e riviste a diffusione nazionale, tra cui il manifesto, l’Espresso, la Repubblica, Alfabeta e Vie Nuove. Al suo libro/inchiesta “I manicomi criminali”(Mazzotta 1975) segue un processo con le condanne a pene detentive dei direttori di Aversa e Montelupo Fiorentino: il primo passo verso la definitiva chiusura di tutti i manicomi giudiziari. È poi allieva di Dieter Baumann Jung a Zurigo, e diventa psicoanalista nel 1979. È stata
la prima, e finora l’unica, a lavorare con la psicoanalisi in prigione, per 12 anni, nei reparti di isolamento maschile dei penitenziari di Opera e di Bollate, in autonomia di fronte all’istituzione e nel rispetto del segreto professionale. Nessun caso di recidiva segnalata dopo la liberazione. Ha raccolto una parte di questa esperienza in “Ho paura di me – il comportamento sessuale violento” B. Mondadori 2007. Ha fondato e diretto una scuola di specialità in psicoterapia
a Milano, e un’associazione per lo studio e la psicoterapia della violenza. Ha scritto 15 libri di psicoanalisi pubblicati per Mondadori, Rizzoli, Moretti &Vitali, alcuni libri di fiabe e un giallo.
Caterina Barbieri è una compositrice e musicista italiana che vive attualmente a Milano. Il suo lavoro esplora gli effetti psico-fisici della ripetizione e delle operazioni basate su pattern nella musica, indagando il potenziale polifonico e poliritmico dei sequencer per disegnare geometrie complesse nel tempo e nello spazio. L’approccio alla pratica musicale come feedback cognitivo integrativo tra l’uomo e la tecnologia è al centro della sua attuale ricerca sonora, che si concentra sull’uso creativo della computazione e di complesse tecniche di sequenziamento per innescare allucinazioni temporali e spaziali, spesso esplorando stati di trance e concentrazione emotiva. Pitchfork ha descritto la sua musica come “un viaggio che altera la mente” e “una macchina dei sogni per le orecchie”. La sua prima pubblicazione Vertical, composta per Buchla 200 e voce, è stata prodotta tra Elektronmusikstudion e il Royal College of Music di Stoccolma e pubblicata tramite la divisione Cassauna di Important Records (2014). Da allora, il suo lavoro è stato presentato in festival e sedi in tutto il mondo, come Atonal e Berliner Festspiele, Mutek, Unsound, Sonar, Primavera Sound, Dekmantel, Barbican Centre, Philharmonie de Paris, Berghain, Biennale di Venezia. Il suo album di debutto Patterns of Consciousness (Important Records, 2017) è stato nominato come una delle migliori uscite dell’anno e del decennio. Il suo disco del 2019 per Editions Mego, Ecstatic Computation, è stato acclamato dalla critica ed è il disco dell’anno su Bleep. Caterina ha collaborato con diversi artisti, tra cui Kali Malone (come Upper Glossa), Carlo Maria (come Punctum), Drew McDowall, Bendik Giske e Lyra Pramuk, oltre all’artista visivo Ruben Spini, che ha creato i visual per la performance A/V Time-blind. Di recente ha firmato la sua prima colonna sonora per il film John and the Hole di Pascual Sisto, che è stato selezionato a Cannes 2020 e al Sundance 2021, e ha firmato la colonna sonora di sfilate di moda di Fendi, Gucci, Calvin Klein e Off-White. I suoi ultimi album Fanta Variations e Spirit Exit l’hanno definitivamente imposta all’attenzione internazionale. Barbieri è anche la fondatrice della piatta- forma di etichette indipendenti Light-years.